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di Valeria Ballarati

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Un Italiano a bordo

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Mentre noi impacchettiamo e ci prepariamo a mettere le gambe sotto alla tavola imbandita di Natale, in un posto tutt’altro che accogliente – l’Antartico - a bordo della Steve Irwin, l'ammiraglia della flotta di Sea Sheperd, il Comandante Paul Watson e il suo equipaggio stanno cercando di limitare i danni dei bracconieri giapponesi di balene. E' qualcosa che si svolge lontano da noi, può sembrare che non ci riguardi, mentre é molto importante. Qui sotto c'é un bel racconto dello scorso anno: l’esperienza di un italiano a bordo della Steve Irwin prima della partenza. Per capire meglio chi sono e che tipo di lavoro fanno questi che vengono definiti  “eco-pirati”. Non vi perdete il link più in basso, dove potrete vedere le fotografie. Chissà che leggendo a qualcun altro non venga la voglia di unirsi.

 

L’esperienza a bordo di Ico Thieme
Ho gli occhi chiusi e sto esplorando il mondo che mi circonda attraverso i suoni e gli odori. La brezza è una presenza che mi avvolge morbidamente e che mi porta una copiosa messe di indizi. Il salmastro è contaminato da quello del grasso di macchina, ma sotto posso percepire una serie di essenze che non conosco. Sono i profumi di vegetazione che non riesco a visualizzare, qualcosa che richiama ricordi sfumati e indefiniti. Sono seduto sul mio sacco da marinaio, e aprendo gli occhi scorgo una sottile linea violacea che tinge il cielo, il sole dovrebbe sorgere tra meno di un’ora, quindi ho ancora il tempo per esplorare altri elementi del mondo che mi circonda. Comincio a distinguere enormi dita metalliche che si allungano verso il cielo, sono le gru del porto protese verso navi che ancora devono vedere la terra. Davanti a me una grande massa nera. E’ la destinazione del mio lungo viaggio, il motivo per cui ho volato per 14.000 Km e cambiato emisfero: la nave Steve Irwin, ammiraglia della flotta di Sea Shepherd. Ho conosciuto l’associazione per caso, leggendo un libro che mi aveva incuriosito, preso nella biblioteca del mio paese. In questa bella storia di mare si narrava di un visionario, il Capitano Paul Watson, che ha armato alla bell’e meglio una vecchia nave scassata, l’ha completamente dipinta di nero, ha radunato intorno a sé un pugno di entusiasti, ed è partito per l’Antartide con lo scopo di rompere le scatole ai bracconieri giapponesi che cacciano di frodo le balene. Al di là della vicenda marinaresca, sono rimasto affascinato da questa figura assolutamente fuori dai nostri tempi. La stampa lo descrive normalmente come l’antitesi del capitano Achab, io invece in lui ho visto un Don Chisciotte intento a combattere contro dei mulini a vento made in Japan, per una Dulcinea somigliante a un cetaceo. Sono rimasto affascinato dalla forza di quest’uomo, dal suo carisma e dalla sua determinazione, ma soprattutto da quello che ha ottenuto. Purtroppo Don Chisciotte si è miseramente perso nella sua follia, mentre il Capitano Watson con la sua guerra personale sta portando la baleneria illegale agli occhi del mondo. Finito il libro, ho scoperto che la missione narrata è solo la prima, e dopo ne sono state armate altre tre, che hanno portando lo scompiglio nelle flotte di caccia alle balene. Molti grandi cetacei sono a rischio estinzione, e nessuno fa niente per fermare questi rapinatori di bassa lega. Nessuno, tranne Paul Watson e l’organizzazione che ha fondato: la Sea Shepherd Conservation Society. Per fortuna i folli e i sognatori esistono ancora, mi sento rassicurato. E ora sono davanti alla loro nave ammiraglia, ormeggiata al molo “C” del porto di Fremantle, Australia. Attendo che il sole sorga per presentarmi a bordo e indossare anch’io la T-shirt nera con il teschio. Il 7 dicembre 2009 la nave salperà per la quinta missione nei mari antartici, e io cercherò di dare il mio meglio in questo periodo di preparazione e allestimento. Purtroppo impegni di lavoro non mi permetteranno di salpare con gli altri, quattro mesi lontani dalla civiltà sono troppi anche per un vagabondo come me, quindi mi dovrò accontentare di dare un contributo solo nella fase di armamento. Posare il piede a bordo è stato emozionante ma non ho avuto il tempo di crogiolarmi nelle emozioni perché subito sono stato catapultato nel ritmo di bordo. Il mio Virgilio è stato Dan, la persona con cui lavorerò più strettamente a bordo. Dopo essermi presentato a Loky, il primo ufficiale e avere ricevuto il benvenuto a bordo, è cominciata la visita alla nave e l’istruzione su come si svolge la vita secondo i turni e i doveri di ogni persona imbarcata. Mi viene assegnata una cabina nel ponte inferiore, l’ultima cuccetta rimasta sulla nave ricavata da un deposito di chissà che cosa. L’aria è viziata, lo spazio poco, ma sono così emozionato che non l’avrei scambiata nemmeno con una suite al Ritz. Le persone che conosco sono fantastiche. Chiunque incontri in un corridoio o sul ponte ti porge la mano, si presenta e ti dà il benvenuto. Se li incontrassi di notte in un vicolo ne avrei paura, ma questi volontari coperti di tatuaggi, capelli lunghi e barbe incolte incarnano perfettamente il “fisique du role” dei pirati che amano impersonare. Non a caso il simbolo dell’organizzazione è il teschio con un delfino e una balena disegnati in fronte sormontanti il tridente di nettuno e un bastone da pastore. Quando hai occasione di conoscerli vieni a contatto con il loro vero lato e ti senti accolto a braccia aperte. Sono espansivi, allegri, casinisti e hanno un grande sogno comune: salvare la vita degli oceani a tutti i costi. L’esterno della nave è tutto nero, in netto contrasto con gli ambienti interni che sono decorati da grandi disegni in stile maori e placche di legno a forma di testuggini e delfini. Nel quadrato oltre che alle foto delle passate campagne e altri trofei delle azioni compiute, c’è anche un vetro della timoneria con un foro di proiettile, memento al fatto che quello che mi circonda non è un set cinematografico, ma il quartier generale di una guerra vera che si sta combattendo. Ed è proprio la sensazione di una guerra che si prepara che posso avvertire in ogni attività. Osservo stupito le modifiche alle murate per rizzare le reti anti abbordaggio, guardo i bidoni di carburante stipati in ogni dove, aiuto a imbarcare a bordo casse di attrezzature misteriose, e soprattutto ammiro il coordinamento degli ufficiali in quello che sembrerebbe un caos senza capo né coda di gente che corre avanti e indietro portando cavi elettrici o cannelli ossiacetilenici. Sopra il ponte di poppa è stato costruito il ponte di volo dove si trova un piccolo hangar retrattile. Il pilota e il meccanico stanno montando l’elicottero che sarà l’occhio dal cielo per tutta la campagna. Ma l’emozione più grande è stato l’ingresso nella sala macchine, il sancta sanctorum della nave, dove solo poche persone sono ammesse. Seguo Dan mentre scendiamo un ponte dopo l’altro tra enormi strutture metalliche fino ad arrivare al livello più basso. Qui vengo presentato a Erwin, l’ufficiale di macchina da cui dipenderò. Il mio lavoro si svolgerà tra l’odore del grasso e del carburante, nell’aria soffocante dei motori per aiutare a fare quei mille preparativi, test e regolazioni che precedono la partenza della nave. So poco di meccanica navale, ma ho l’impressione che alla fine non sarà più così. I momenti dei pasti sono quelli in cui ci si trova tutti insieme. Siamo in 43 a bordo, comprese le persone delle due troupe di ripresa che documenteranno tutta la campagna. Ormai di faccia li conosco tutti, ma per i nomi sto vivendo un piccolo dramma personale. Già io non me li ricordo mai, poi avendone ascoltati così tanti insieme non posso certo dire di averli imparati tutti, anzi. I pasti vengono serviti alle 0700, alle 1200 e alle 1800 in quadrato. Ti metti in coda, prendi una ciotola e attendi che venga il tuo turno per servirti. L’equipaggio è terribilmente eterogeneo. La maggior parte sono australiani o neozelandesi, poi vengono gli americani, i canadesi e gli inglesi, ma anche norvegesi, olandesi, tedeschi, francesi, brasiliani e peruviani. Poi ci sono io, l’unico italiano. Mentre aspetti chiaccheri, e mi chiedono come abbia fatto a raggiungere l’organizzazione.
La nave è vegana, strettamente vegana, inoltre vige il divieto assoluto di fumo a bordo, e anche se più morbido, il divieto di bere alcool. Quando Dan mi ha fatto fare il primo giro della nave si è fermato al banco dove viene messo il cibo. Mi ha indicato le varie cose, e anche un piccolo scomparto dicendomi: “stai attento”. Lo scomparto era marcato con un inequivocabile cartello: “Not Vegan!”. Successivamente, senza farmi vedere troppo ho curiosato in quello scaffale che conteneva semplicemente prodotti e condimenti vegetariani, ma senza il blasone di “vegano”. Nessuna bistecca o tonno in scatola (naturalmente). Io non sono vegano. Non sono neanche vegetariano, e anche se di carne ne mangio poca, non avevo mai avuto un’esperienza così totale come questa. Nulla mi avrebbe impedito di scendere e pranzare fuori bordo, ma non l’ho mai fatto, sarebbe stato come scappare dall’ideale e dalle persone che ho tanto faticato per raggiungere. E poi il cibo a bordo è sorprendentemente buono, grazie alle ottime materie prime e alla capacità di Laura, la responsabile di cucina. La prima sera dopo la cena, mentre prendo una boccata di aria fresca prima di reimmergermi nelle viscere soffocanti della sala macchine, mi accorgo di uno strano movimento che avviene davanti al cancello che separa il molo dalla città. C’è una piccola folla di persone che guarda e ci fa fotografie. Famigliole complete, ragazzi, pensionati con la moglie. La gente comune viene per guardarci e per visitare la nave. Alla fine del giro “turistico” (e gratuito) viene consegnato un foglio che contiene la lista dei desideri. Sono elencate tutte le cose di cui abbiamo bisogno, dalle provviste di cibo, ai pennelli, dalle chiavi inglesi alle cime d’ormeggio. E così alla sera successiva chi arriva con due sacchi di riso, chi con una cassetta di zucche, chi con un vecchio compressore. E così piano piano la cambusa si riempie, noi in sala macchine riceviamo cose che ci possono essere utili e così via. La città ha adottato la nave, la incoraggia, la sostiene. Questa spedizione non è solo un piccolo gruppo di esagitati che vanno a combattere i bracconieri giapponesi, ma è la rappresentanza della gente d’Australia, di un intero continente, che come noi è convinto che questo massacro vada fermato. Mi è capitato di girare per Fremantle, ovviamente con la maglietta di Sea Shepherd, e la gente per strada mi ferma, fa i complimenti e incita a suonarle duramente ai giapponesi. E’ un trasporto di popolo che non avevo mai visto.
Lavorando, i giorni si sono susseguiti velocemente. La nave da cantiere galleggiante ha cominciato ad avere un aspetto più rassicurante. Ogni momento veniva chiuso uno dei mille “buchi” aperti ovunque. Ogni giorno un camion scaricava davanti a noi un carico di 20-30 bidoni da 200 litri di carburante che pompavamo nei serbatoi, e poi riportavamo vuoti sul molo per il camion del giorno dopo. Avvicinandosi il giorno della partenza, la squadra del nostromo completava i lavori sui ponti e sulle infrastrutture, spostando nelle stive e nei depositi tutti i materiali che hanno ingombrato i passaggi fino all’ultimo. La plancia cominciava ad assumere un aspetto quasi funzionante, e la cambusa piano piano si riempiva.
Il 7 dicembre alle 0900 la nave salpa per i mari antartici. Io sono sul molo con il mio sacco da marinaio, esattamente come quella mattina cui sono arrivato. Ma questa volta intorno a me invece della brezza e dei gabbiani ci sono centinaia di persone festose che sventolano pezzi di tessuto colorato.
Da ogni parte ci sono troupes televisive che seguono in diretta le operazioni che precedono la partenza, e una folcloristica banda di percussioni assorda tutti quanti. E’ una festa di popolo, spontanea, é il modo con cui la gente augura “buona caccia ai cacciatori” a coloro che stanno partendo per difendere un bene comune che è di tutti, un bene che i balenieri giapponesi stanno rubando a tutto il pianeta. Io saluto gli amici che tanto mi hanno dato. Non sono sulla nave, ma un pezzetto di me è da qualche parte in sala macchine. Li rivedrò a giugno quando arriveranno in mediterraneo per una nuova campagna, e so che una ciotola di cibo vegano sarà sempre pronta. Per il momento ho solo un’incitazione da lanciare alla Steve Irwin che si stacca dal molo: “Fuck them!”

http://www.thieme.it/sea/sea/australian_job.html