“Le parole tue sien conte” (Dante, Inferno, X, 39)
“Le orecchie sono le uniche parti del corpo sensibili alla virtù” diceva Plutarco. Nel senso che i turbamenti che l’udito provoca nell’animo non sono pari a quelli degli altri sensi. È questo, infatti, secondo il filosofo greco, il più esposto tra i sensi non solo agli stimoli esterni, ma anche a quegli interni. Un punto assolutamente cruciale, dunque, per gli esseri umani, in cui vengono in contatto fisicità e spiritualità, sociale e privato, dentro e fuori. E tutto attraverso l’orecchio. I whistleblowers [1] – dalle gole profonde agli informatori, agli odierni fischiettatori anticorruzione – agli antichi gli facevano un baffo.
All’Arte di saper ascoltare Plutarco dedica un’operetta (De recta ratione audiendi) contenuta nel più vasto trattato Ethikà (Moralia). Nato a Cheronea nel 46-48 d.C. il filosofo visse fino al 125-127, fu biografo e scrittore sotto l’Impero Romano, dove rivestì incarichi amministrativi diversi, mentre nell’ultima parte della sua vita divenne sacerdote al Santuario di Delfi. Come dire un laico e poi anche un religioso. Uno studente ateniese fortemente influenzato da Platone e un erudito autore delle “Vite parallele”, quella summa di esempi di eccellenza in cui a un grande greco è messo a confronto un altrettanto ragguardevole latino, che sono diventati il paradigma delle biografie a venire.
A parte la fonte autorevole, quest’affermazione che collega l’udire alla virtù e che trasforma l’ascoltare stesso in una dote imprescindibile, dell’uomo pubblico e del politico così come dell’uomo comune e del cittadino, sarà vera e soprattutto lo sarà ancora oggi? Qualsiasi discorso è inutile se non viene ascoltato, se non è ben inteso, dice Plutarco. L’ascolto è una meta fondamentale dell’atto comunicativo. L’arroganza, l’odio, la presunzione e la smania di protagonismo inquinano la nostra disponibilità verso l’altro. La sua operetta è dedicata ai giovani, in particolare a Nicandro, in occasione del suo ingresso nell’età virile. Affinché sappiano maturare “senza cedere al disordine delle emozioni, cercando in ogni cosa pacatezza e riflessione”. Il filosofo, inoltre, mette in guardia contro le belle parole vuote, contro i discorsi apparentemente affascinanti eppure privi di sostanza, usati per abbindolare gli ingenui e coloro che non sanno ascoltare.
Con Plutarco l’abbiamo presa alla lontana, penseranno alcuni. Non tanto. Le notizie allarmanti che ci giungono all’orecchio sono di ieri e di oggi. L’Italia nel Corruption Perception Index 2014 di Trasparency International, calcolato utilizzando 12 diverse fonti di dati e 11 differenti istituzioni internazionali, risulta in 69.ma posizione nella classifica generale e al primo posto tra i paesi Ue, con valori uguali rispetto al 2011 e al 2013. Come mai? Perché gli allarmi sono stati inascoltati. Poco e niente si è fatto in questi anni a parte il varo della legge Severino sulla corruzione, da molti giudicata insufficiente, e la nomina da parte dell’ultimo governo di Matteo Renzi di Raffaele Cantone come presidente dell’Autorità anticorruzione. Ancora: di quest’anno, il 2014, sono gli scandali che riguardano l’Expo di Milano e il Mose di Venezia, tra i maggiori che hanno afflitto il nostro Paese negli ultimi anni. Mentre adesso è la volta di Roma, capitale della mafia, che occupa la ribalta pubblica. Sono già cominciate sofisticate analisi e reciproche accuse, si consultano esperti, se ne parla nei talk show. Ma come si provvede? Dopo cosa resterà di effettivamente fatto, di compiuto?
Incorruttibilità ha per sinonimi onestà, moralità, integrità. E, per estensione, il significato di qualità, pregio, merito. Parole tradizionali, senza dubbio. Anche superate, noiose, svalutate, male auguranti, disutili, tanto da doverle mettere – se non proprio sotto i piedi – quanto meno alle spalle per scrollarcele di dosso? Abbiamo disimparato l’arte di ascoltare; tuttavia occorre ripristinarla al più presto, pena la sopravvivenza. E chi ha orecchie per udire, intenda. Altrimenti sordità assicurata per tutti. In un Paese che invecchia rapidamente è una delle malattie più frequenti. E precoci.
Rossella Guadagnini (MicroMega)
[1] Il “whistleblower” (soffiatore nel fischietto) è il lavoratore che, durante l’attività lavorativa all’interno di un’azienda, rileva una possibile frode, un pericolo o un altro serio rischio che possa danneggiare clienti, colleghi, azionisti, il pubblico o la stessa reputazione dell’impresa/ente pubblico/fondazione; per questo decide di segnalarla.
[2] L’Arte di ascoltare, a cura di Mario Scafiddi Abbate, Newton Compton Editori.
Commento: non é nemmeno più connivenza: a questo punto potremmo pensare ad una joint venture.