Lettere al Direttore, Il Mattino di Napoli
Camorristi e sacro: scomunicare non basta
Il tradizionale omaggio al boss durante la processione in onore di san Catello, venerato a Castellammare di Stabia, ha avuto grande risonanza per la ferma contrarietà del sindaco Bobbio, protagonista di un acceso scambio di opinioni con l’arcivescovo della città, Monsignor Felice Cece, sull’opportunità di compiere in simile gesto. Stupisce davvero che siano per primi degli uomini di chiesa a fingere di non capire quale significato possa avere, in quest’assurda commistione di sacro e profano, la dimostrazione di rispettosa reverenza offerta al camorrista benedicente.
D. Sessa - NAPOLI
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Caro Sessa, i riti della processione di san Catello con tanto di omaggio al boss locale hanno fatto indignare molti nostri lettori. Mi iscrivo di corsa al gruppo ma ieri per fortuna a risollevare gli animi ci ha pensato il cardinale Sepe, invitando i sacerdoti campani a scomunicare di fatto camorristi e criminali.
L’anatema di Sepe, che è diventato il cuore di un vademecum distribuito ai parroci, non deve passare sotto silenzio. È uno di questi gesti forti che oggi si chiedono alle istituzioni e alla società civile, se non si vuole passare per conniventi. Il cardinale non s’è fermato all’invito a non celebrare i funerali degli affiliati a un clan ma è andato oltre, chiedendo di non far indossare i panni di padrini o testimoni ai membri di associazioni camorristiche. Per un’organizzazione che fa della rispettabilità sociale - nell’ambiente in cui detta legge - il cardine di ogni azione, non è poco.
A questo importante pilastro etico posto dalla Chiesa adesso però bisogna affiancare anche un maggiore impegno sul piano dei controlli economici e delle confische. Perché non basta scomunicare i camorristi se poi gli si consente di irrobustire il patrimonio, diventando rispettabili e influenti con fiumi di denaro sporco.
Posso aggiungere il mio personalissimo punto di vista? Bel gesto quello del Cardinal Sepe, ci voleva, meglio tardi che mai! Quantomeno adesso la mia condizione di "divorziata" per la chiesa cattolica é equiparabile allo status di camorrista ... (e quindi non assolvibile nella confessione, non comunicabile attraverso l'eucaristia, non madrina e non testimone di nessun tipo di sacramento). Direi comunque che non c'é troppo da lamentarsi se consideriamo che un gay cattolico sta decisamente messo peggio di me.