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di Valeria Ballarati

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Tre cose ci sono rimaste ...

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Riporto un post Fb di Vito Mancuso, che ha sviluppato una discussione interessante. Vi invito a leggerla.

Secondo Platone (Teeteto, 155 D) e Aristotele (Metafisica, I, 982 B 1) la filosofia ha inizio dalla meraviglia, in greco "thauma". Volendo approfondire il concetto, prendo dalla mia libreria l'ottavo volume della "Enciclopedia Filosofica" e cerco la voce "Meraviglia". Assente. Penso allora che "thauma" sia stato tradotto dai responsabili della grande enciclopedia con "stupore" e prendo il volume n. 11, ma anche qui la voce "Stupore" risulta assente. Lo stupore a questo punto è tutto mio.

Forse, mi dico, il concetto di "thauma" è reso con "ammirazione". Assente anche questa voce. Allora mi viene da pensare che certamente gli studiosi responsabili dell'opera non hanno tradotto il termine ma, considerandolo giustamente fondamentale, lo hanno lasciato nel greco originario. Fiducioso, cerco quindi la voce "Thauma". Assente. Ma è mai possibile, concludo, che l'atteggiamento da cui prende origine la filosofia sia stato omesso da quest'opera monumentale sulla filosofia (12 volumi per un totale di 12.496 fitte pagine)? Purtroppo è stato possibile.
Consulto altri dizionari. Stesso esito. Prendo allora in mano il quinto volume della "Storia della filosofia antica" di Giovanni Reale, quello con il prezioso lessico, e qui finalmente trovo la voce "meraviglia". Solo due righe però, le seguenti: "E' quello stato spirituale dell'uomo dal quale ha origine la filosofia secondo Platone e secondo Aristotele".
Abbagnano nel suo "Dizionario di filosofia" alla voce Meraviglia rimanda ad Ammirazione, ma le due cose non sono per nulla identiche, come scrive Enrico Berti secondo cui "la meraviglia viene spesso confusa con l'ammirazione", mentre la meraviglia "è uno stato d'animo raro e prezioso", "è l'espressione della vera libertà: libertà dal bisogno e dagli altri desideri" (da "In principio la meraviglia. Le grandi questioni della filosofia antica", p. VII).
Questa piccola e parziale indagine è rivelativa su ciò che spinge molti nostri filosofi a fare filosofia? Spero di no.

Commento:

Riflettevo sullo stesso argomento leggendo alcune parole di Hans Jonas (virgolettate) da un libro del Prof. Emidio Spinelli (Sapienza) Dice così: il luogo platonico da cui Jonas parte serve "a riconquistare il privilegio unico di vedere il mondo per la prima volta e con occhi nuovi" perchè proprio la filosofia è in grado di farci muovere senza angoscia dentro il limite del tempo, e dunque "servire ad ognuno di noi come impulso a contare i nostri giorni e a farli contare." Ecco, per me, uno dei sensi del fare filosofia: far contare i nostri giorni. Inoltre, per associazione di idee, mi era venuto da pensare ai bambini molto piccoli. Chiunque ne abbia vicini sa della "meraviglia". È un privilegio (e una gioia) rivivere il mondo conosciuto attraverso lo stupore di occhi che lo guardano per la prima volta. E succede ogni volta, con ogni nuovo bambino che viene al mondo.

"Tre cose ci sono rimaste del Paradiso: le stelle, i fiori e i bambini."

 


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