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di Valeria Ballarati

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Casus belli

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Alla luce dell'evidente straordinaria efficienza dell'intelligence israeliana, credo sia matura una considerazione su quanto è avvenuto il 7 ottobre 2023 e su ciò che ne è conseguito.

Le stranezze intorno all'iniziale successo di Hamas sono saltate agli occhi immediatamente: nessun sentore del possibile attacco (oggi sappiamo che c'erano stati avvisi e che sono stati trascurati), nessuna rilevazione iniziale dell'attacco stesso, ed un incredibile ritardo ad allerta avvenuta nell'intervento delle forze armate, che restano immobili per ore.

Per evitare semplificazioni "complottiste" era giusto sospendere il giudizio e cercar di capire meglio. Magari negli ultimi anni il mitico Mossad aveva subito un tracollo inaspettato e Hamas aveva approfittato di questo momento di debolezza.

Solo che questa interpretazione è del tutto incompatibile con un Mossad che pianifica meticolosamente un attacco a Hezbollah, intervenendo nella catena di distribuzione di cercapersone e walkie-talkie, e attende tre anni (l'esportazione in Libano inizia nel 2022) il momento giusto per sferrare l'attacco; e ciò è seguito immediatamente da bombardamenti in profondità con bombe antibunker, calibrate in modo da raggiungere esattamente le posizioni delle sedi di Hezbollah (Nasrallah è stato ucciso lanciando un attacco simultaneo con 80 bombe bunker-busting MK-84s da 2000 libbre (una tonnellata l'una).

Dunque, no, il Mossad non era affatto collassato nell'inettitudine e nella neghittosità.

L'interpretazione che rimane è, oramai, cogente quanto possono esserlo le interpretazioni della storia corrente: Israele (almeno una parte dello Stato Maggiore dell'esercito e del Mossad, certamente incluso il capo del governo) ha predisposto il terreno affinché un attacco di Hamas riuscisse a fare danni abbastanza gravi da produrre quella legittimazione morale di cui avevano bisogno per reagire in maniera terminale.

In sostanza una parte della dirigenza israeliana ha sacrificato intenzionalmente una parte dei propri coloni nel nome di un'agenda politica ben definita: portare a compimento un antico progetto di pulizia etnica a Gaza e in Cisgiordania, e consolidare territorialmente la propria posizione rispetto ai paesi limitrofi, a partire dal Libano.

La ridicola scusa che per far fuori questo o quel membro di Hamas era malauguratamente inevitabile radere al suolo ogni singolo edificio civile e istituzionale di Gaza poteva essere creduto solo dall'usuale stampa a gettone, la stessa che ha rimestato per mesi la propaganda degli uffici stampa israeliani (ricordate la narrazione degli stupri di massa del 7 ottobre? ricordate la storia della decapitazione dei neonati? che siano menzogne oggi è riconosciuto, ma grazie ad una stampa di gente che tiene famiglia, sono menzogne hanno fatto benissimo il loro sporco lavoro).

Il meccanismo è il solito (direi che oramai è la forma prevalente di legittimazione politica internazionale): si creano, attraverso provocazioni mirate e trascuratezze intenzionali, le condizioni per un evento deflagrante che esige una risposta emergenziale; una volta avviata la risposta emergenziale, tutte le "linee rosse" possono essere stracciate, tutti i vincoli del "diritto internazionale" prendono fuoco.

Così, Israele, un paese spaccato, in crisi profonda, dove per anni non si riusciva nemmeno a comporre un governo, con manifestazioni continue nelle strade, viene improvvisamente messo in riga sul fronte interno e avviato alla loro versione della "Endlösung", nei confronti della questione palestinese.

La dinamica è la stessa che caratterizza gli USA (proprio la stessa, in continuità anche materiale con gli USA): una civiltà in crisi interna, ma militarmente e tecnologicamente ancora forte cerca di superare la propria crisi scaricandola all'esterno. Quanto maggiore la propria fragilità interna, tanto più si cerca di costruire un esoscheletro indurendo la propria corazza nello scontro col nemico esterno.

Questa è la ragione per cui questi sono tempi particolarmente pericolosi: la parte del mondo in maggiore crisi di identità è anche quella con la maggiore potenza di fuoco, e cerca, e cercherà, di ricostruirsi un'identità facendone uso.

Dalla pagina Fb Associate Professor Andrea Zhok, Università degli studi di Milano

30 settembre 2024


Non ho mai parlato del conflitto ma lo seguivo. Di recente le cose stanno evolvendo in una maniera che ci sta sempre più coinvolgendo tutti e allora, a commento della condivisibile disamina, desidero riportare l'attenzione a un paragrafo della mia tesi di laurea che, come ricorderete, trattava proprio del rapporto oppresso-oppressore. Il tipo di intervento - non di forza - necessario in questo frangente per evitare coinvolgimenti altri nel mondo, é di un tipo  non ancora sondato da parte della comunità internazionale: riguarda lo sradicamento. "Chi é sradicato, sradica" diceva Simone Weil.

Ecco il paragrafo:

"A questo punto vorrei provare a introdurre un pensiero diverso sul problema dello sradicamento, che potrebbe forse essere ricondotto a ragioni di tipo personale che portano un uomo a sentirsi di poter disporre della vita e della libertà di un altro uomo, per motivi  che esulano e vanno al di là dell’allargarsi su territori per questioni di prestigio, o di approvvigionamento di materie prime a fini economici. All’origine potrebbe forse trattarsi del temperamento individuale, una molla che mette l’individuo singolo nel pensarsi in condizione di superiorità, come accade ad esempio nei confronti degli animali, una sorta di concupiscenza verso l’indifeso, verso chi si è certi di poter soggiogare perché non si ribellerà, o meglio, non avrà la forza di ribellarsi. Siamo sempre nell’ambito di un esercizio della forza, ma dei motivi personali per i quali la si esercita.

La tendenza a dominare si ritrova talvolta nelle persone molto intelligenti, capaci e abili, che sanno cosa vogliono e sanno anche come ottenerlo. Queste persone sono portate a ritenere di sapere cosa sia meglio anche per gli altri. Essendo mentalmente forti sono in grado di esercitare il potere in modo costruttivo e a fin di bene, ma quando il lato più oscuro e negativo della loro personalità è in eccesso e prende il sopravvento, tendono a diventare dominanti, a imporsi esercitando la loro influenza sulle personalità più deboli o in condizione di fragilità, mediante questa peculiare forza. Il loro aspettarsi obbedienza assoluta non li preoccupa del rapportarsi in modo empatico per conquistare i cuori o le menti altrui, fintanto che sono in una situazione di potere e gli ordini vengono eseguiti. L’attitudine al comando e all’organizzazione delle persone (la dote di leadership), se positiva può essere molto utile in caso di urgenza o di necessità, è assolutamente deleteria in stato di disequilibrio, quando la brama di potere e la prepotenza si manifestano e subentra la superbia, il disprezzo, il sadismo. In uno stato di questo genere si prova piacere ad essere temuti piuttosto che amati: la freddezza e l’insensibilità trovano posto nella violenza.

Inoltre questo tipo di personalità ha la capacità di mostrarsi come un'autorità inducendo le persone a considerarla tale, facendo presa su individui aventi poca fiducia nel loro personale giudizio; essi, nel dubbio e nell'incertezza della decisione accettano volentieri consigli, anche eventualmente uniformandosi all’opinione condivisa dalla massa. Alla lunga però, non basando la decisione su quanto andava bene per sé, mediante proprio discernimento e intuizione, trattandosi appunto di decisioni altrui potrebbero rivelarsi inadatte alle proprie esigenze, facendo riaffiorare la condizione d’instabilità iniziale in aggiunta a una frustrazione per l’errore commesso. Similmente al capo carismatico descritto da Carl Schmitt ma sbilanciato in senso basso (per usare una parola cara a Weil) verso il capo totalitario, questo temperamento andrebbe ricondotto nell’alveo di una ragionevolezza persa, da parte di una collettività solida e compatta divenuta cosciente del meccanismo, e perciò in grado di svelare il disequilibrio affrontandolo in maniera coesa. Purtroppo, di solito, la prima condizione va a braccetto con la seconda, complice la propaganda coi mezzi di comunicazione di massa."