Il mese scorso ho visto il film a Latina, lo davano solo li.
A chi aveva già letto i suoi libri il film sarà apparso poco sorprendente e piuttosto familiare ma per gli altri - le nuove generazioni ad esempio - è un concentrato dei pensieri, delle esperienze di inviato all’estero e degli apprendimenti da lui realizzati anche grazie alla malattia nella quale incorre.
Poche persone possono vantare una vita di uguale intensità.
La sua testimonianza é in parte anche un’ammissione di colpa: una sorta di celata richiesta di indulgenza per essere stato “un padre che faceva ombra” come lui stesso si definisce.
La trama del film è semplice così come semplice é il linguaggio utilizzato, un dialogo tra padre e figlio che si svolge negli ambienti familiari: sotto la pergola del giardino di Orsigna, nella la piccola cucina - dove sua moglie Angela prepara spesso il tè per lui - nella sala da pranzo.
Il grande giornalista giunto alla fine dei suoi giorni desidera raccontare qualcosa in più di sé al figlio, resosi conto con dispiacere che lui stesso aveva saputo poco della vita di suo padre. Lo chiama, lo fa venire da New York, gli chiede di intervistarlo, di fargli delle domande alle quali risponderà; da queste conversazioni, dai valori riposti in quest'ultimo diario scritto a due mani, ultimo desiderio di immortalità, Folco ne trarrà in seguito un libro.
Il regista riesce ad evidenziare la diversa natura del suo carattere: il Tiziano cinico di quando dice “ce n’è uno in più pronto” in riferimento alla sua morte imminente; contemplativo, che cammina lento sul viottolo di montagna o legge un libro nella posizione del loto; delicato che raccoglie corolle di fiori e parlando con le cornacchie sullo steccato, le nutre; scherzoso, che gioca su cosa faranno del suo “involucro” (il suo corpo) e capace d'ira, quando senza più forze si arrabbia non riuscendo a tagliare le patate bollite: “Sono cattive! Sono sempre state cattive le patate di quello li …”
Particolarmente interessante è il ricordo del periodo cinese: “Se vi mettevo alla scuola internazionale(per gli stranieri) voi della Cina non avreste saputo niente! Io allora vi imposi la Cina …” e mentre il figlio Folco piange confessa: “Si, tu non avevi occhiali ideologici e vedevi la realtà com’era. Io ci ho messo un po’ di più”.
Il senso del film e del messaggio si delineano leggendo queste poche sue ultime frasi:
“Perché nessuna guerra ha mai messo fine alle guerre. A che servono tutte queste grandi rivoluzioni che in tanti hanno fatto con grande onestà? Sino a che l’uomo non rinuncia al proprio profitto le cose si ripetono e si ripetono. Bisogna raggiungere il vuoto, quel vuoto che sei tu, quello della grande totalità e proprio perché non sono niente posso essere il tutto. Quando vedi tutto uno le cose cambiano, immensamente, c’è soltanto questo mondo unico.”
“E la morte cos’è? “ gli chiede il figlio.
“E’ la paura di perdere tutto quello che hai. Si può essere soltanto una goccia che invece è come essere l’oceano. Puoi essere quello che vuoi. L’importante è che in questa vita che abbiamo vissuto, ci riconosciamo.”