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di Valeria Ballarati

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"Buongiorno, io sono ..."

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"Buongiorno, io sono...". Quando il medico dice il suo nome diventa un amico
di MICHELE BOCCI


NON è solo una formalità, un fatto di educazione. Presentarsi al paziente, dire il nome e il proprio incarico è il modo per stabilire un rapporto umano, e magari rendere meno dura la convivenza con la malattia. Purtroppo però molto spesso il medico che legge la tac decisiva, quello che spiega come stanno andando le terapie o l'infermiere che avvia la chemio restano degli sconosciuti per chi sta male. Distanti, non coinvolti. Un piccolo gesto fatto subito potrebbe già servire a cambiare le cose. Ne sono convinti i responsabili di Slow medicine, il movimento che promuove cure "sobrie, rispettose e giuste". In questi giorni stanno avviando la campagna #buongiorno io sono... per spingere chi lavora negli ospedali a presentarsi sempre ai pazienti. Perché il cartellino con il nome sul camice, obbligatorio ormai da una decina d'anni, non basta. All'inizio verranno coinvolti i soci di Slow medicine, tra i quali una trentina di società scientifiche. Si conta poi di far partecipare gli Ordini e i sindacati. Chi aderisce è invitato a mettere una foto online con il cartello della campagna e l'hashtag #buongiornoiosono... Ma soprattutto a rispettare il senso dello slogan nel lavoro di tutti i giorni.

L'iniziativa di Slow medicine è la versione italiana di quella lanciata in Inghilterra da Kate Granger, una dottoressa trentunenne che si è ammalata di cancro e dopo aver incontrato colleghi che non solo non le dicevano come si chiamavano ma non la guardavano neanche negli occhi per dirle che il tumore si stava diffondendo, ha creato l'hashtag #hellomynameis. "Mi hanno fatto sentire tante volte come un corpo malato e non come una persona ", ha raccontato. La sua iniziativa ha avuto un successo enorme nel Regno Unito. Nel giro di qualche mese ben 400 mila dipendenti dei servizi sanitari inglese, scozzese e gallese hanno aderito, postando la propria immagine su Twitter. Sul sito hellomynameis. org. uk sono pubblicate centinaia di foto, anche quelle di testimonial come David Cameron, Bob Geldof e Drew Barrymore. Kate Granger spiega così il senso di ciò che sta facendo: "Sono convita che non si tratta solo di conoscere il nome di qualcuno ma è qualcosa di più profondo, a ha che fare con il creare un contatto umano, iniziare una relazione terapeutica e costruire fiducia. È il primo passo per dare una cura compassionevole".

Slow medicine si è subito ritrovata nella campagna inglese. "Le nostre tre parole chiave sono sobrio, rispettoso e giusto  -  dice la vicepresidente dell'associazione e responsabile del progetto "fare di più non significa fare meglio ", dottoressa Sandra Vernero  -  E presentarsi è sobrio, perché facilita l'individuazione del professionista, riduce i malintesi e consente a pazienti e familiari di fare le richieste giuste alla persona giusta. È rispettoso, perché segnala attenzione nei confronti dell'altro e disponibilità a una relazione fra persone. È giusto, perché uno dei diritti fondamentali di ciascuno è sentirsi accolto e riconosciuto nei rapporti interpersonali: una relazione con una persona senza nome non è una relazione ". Vernero aggiunge che "il disorientamento è fra i principali motivi di disagio per i pazienti che entrano negli ambienti sanitari. Tra l'altro spesso in queste strutture ci sono figure professionali diverse, con compiti diversi. Presentarsi dicendo anche il proprio ruolo è il primo passo per stabilire una relazione professionale ben definita. #buongionrnoiosono... è il biglietto da vista che valorizza sia il paziente che lo stesso operatore, la relazione che si svilupperà fra loro è professionale, ma chi cura si sente impegnato come persona". La potenza di uno sguardo, una stretta di mano, un nome.

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