IN UN MONDO MIGLIORE è un ambizioso e riuscito apologo su famiglia, educazione e non-violenza.
E’ il sesto lungometraggio di Susanne Bier, una delle registe scandinave più famose, che ha sempre messo al centro delle sue storie sentimenti forti e rapporti familiari animati da passioni violente.
Con “Non desiderare la donna d'altri” (2004) aveva dipinto un triangolo che vedeva due fratelli contendersi l'amore della moglie di uno dei due; con “Dopo il matrimonio” (2006) aveva esplorato, attraverso un altro triangolo, la forza dell'amore coniugale ma anche quella dell'istinto di sopravvivenza.
Con questo “HAEVNEN” (vendetta, suona il titolo originale), imposta un racconto che, a colpi di montaggio alternato tra l'Africa dei medici da campo e la Danimarca opulenta dei borghesi, suggerisce, con tensione costante e perfetta, che la violenza nasce in qualsiasi luogo e condizione sociale,non c'è contesto o spiegazione socioculturale che tenga.
Il dottor Anton (Mikael Persbrandt) è un medico idealista che lavora in una missione umanitaria in Africa, dove si trova, con mille difficoltà, a fronteggiare i soprusi di Big Man esercitati sulle donne e sui loro corpi inermi.
Quando torna a casa, nella monotona tranquillità di una cittadina della provincia danese, l’uomo, separato dalla moglie che non gli perdona un precedente tradimento, tenta di passare la propria visione morale a suo figlio Elias (Markus Rygaard). Il ragazzo, vittima del bullo della scuola, sviluppa con Christian (William Jøhnk Nielsen), suo compagno di classe e unico capace di difenderlo, un'amicizia basata sul rancore e sulla volontà di vendetta. La solitudine, la fragilità e il dolore sono in agguato e presto quella stessa amicizia si trasforma in una pericolosa alleanza, in cui sarà in gioco la vita stessa dei due adolescenti…
Come nell’Amleto di Shakespeare: “C'è del marcio in Danimarca”.
Non esiste primo o terzo mondo, la violenza è ormai compenetrata ovunque, a prescindere dall'area geografica e dalla condizione culturale. Essa si presenta in modi impossibili da prevedere: può avere la forma scellerata di un dittatore con banda armata al seguito o quella più innocente di un ragazzo che non riesce a superare il dolore per la perdita della madre.
L'unico modo per fronteggiare la violenza è contrapporle l'etica del singolo, accompagnata alla sua ferrea volontà di non cedere di un passo di fronte all’orrore, in qualsiasi forma esso si manifesti.
Per Susanne Bier, un buon padre è quello che porge, letteralmente, l'altra guancia. Uno che non risponde alle provocazioni, ma tiene il punto. Che non si abbassa a restituire il colpo, ma mostra al figlio come la debolezza (momentanea) possa tradursi in forza.
Non sappiamo se l’auspicio della Bier si realizzerà, se vivremo veramente domani IN UN MONDO MIGLIORE.
Ma è giusto chiedersi, oggi, quale prezzo siamo disposti a pagare per difendere i nostri ideali; che efficacia può avere l'educazione in un mondo rassegnato alla violenza.
IN UN MONDO MIGLIORE ha vinto il Premio del Pubblico e il Gran Premio della Giuria alla Festa del Cinema di Roma 2010. Ha anche meritato l’Oscar 2011 come Miglior Film in lingua straniera.
Commento:
lunedì e martedì ho parlato di argomenti con cui è difficile rapportarsi, lo so, lo capisco. Si vede anche dagli accessi al sito: poche presenze, letture fugaci, quando non vere e proprie "toccate e fughe". Per questo oggi suggerisco di vedere questo film che ho amato molto: un racconto pieno di speranza, di coraggio, di difficoltà che si possono e si devono superare. La scelta però, come sempre, rimane nelle nostre mani.