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di Valeria Ballarati

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Il piccolo boom dei parti in casa

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Sono tre, lavorano con una sintonia da 007, ma non sono le «Charlie’s angels». Anzi. Sono così concrete che se provi a paragonarle agli «angeli» - non solo alle investigatrici ma pure a quelli tradizionali, eterei, che si dice accorrano quando gli esseri umani sono in difficoltà - storcono il naso: «Siamo ostetriche - dice Anna, sguardo serio e sorriso aperto - il nostro lavoro è reale, fisico, adoperiamo le mani. Solo non lo facciamo in una sala parto ma in case private».

Anna Ruocco, Giovanna Dentis e Lorella Montegazza sono levatrici a domicilio. Con la coordinatrice Liberata D’Ambrosio, formano l’équipe nata nel 1997 all’ospedale Sant’Anna che permette alle donne che lo desiderano, e hanno buona salute, di partorire nelle loro camere da letto, assistite dal compagno o dal marito anziché in un ospedale circondate da medici e macchine. A Torino queste donne non sono tantissime ma ogni anno di più: 22 nel 2008, 21 nel 2009 e 39 nel 2010. Quando il progetto è partito erano appena due. Un piccolo boom, nella prima e unica città d’Italia in cui il servizio è pubblico, e legato a una struttura ospedaliera. Le tre ostetriche, quando non sono in giro a far nascere bambini, le trovi lì nella stanza verde al secondo piano.

«È il nostro rifugio - dice Anna Ruocco - ma sia chiaro, qui trovano accoglienza le donne veramente motivate. Il percorso dura per tutta la gravidanza ed è a tappe: lezioni di ginnastica per il corpo, di canto per liberare la voce e test medici costanti». Fasi tracciate dall’organizzazione mondiale di sanità per verificare che il rischio per madre e figlio sia «imponderabile». Esattamente come dev’essere in sala parto per procedere con un parto naturale. «Le donne ci parlano di intimità - attacca Giovanna Dentis quando cerca di spiegare le ragioni della scelta -. Ho assistito a molte nascite e sono sempre più convinta che in un momento così sacro non amino troppo movimento attorno, luci forti, strumenti di metallo. Credo che l’intervento del medico, per non parlare del taglio cesareo, sia indispensabile in rarissimi casi. Assistere una donna mentre fa nascere suo figlio è un lavoro per ostetriche. Né uomini né camici né sale parto. Bastiamo noi».

Se i parametri di salute sono regolari e se entrambi i genitori sono d’accordo, l’unica condizione che preclude la possibilità di partorire nella propria casa è la mancanza di accessi facili per ambulanza e barella. Detto questo, il 118 viene allertato dalle ostetriche all’inizio del travaglio sempre e comunque. Nonostante l’apparente facilità, la selezione è grande: dal 1997 a oggi su 624 donne che hanno fatto richiesta, sono state giudicate idonee in 406. Di queste, 334 hanno incominciato il travaglio a casa, 272 di loro sono arrivate al parto e 62 sono state portate in ospedale. Alcune per necessità, altre per scelta: la paura di complicazioni è arrivata all’ultimo.

«Sarà banale - commenta Giancarlo Dolfin, ginecologo, oncologo e segretario regionale del Piemonte dell’Aogoi, associazione ostetrici ginecologici ospedalieri italiani - ma la sicurezza non è mai troppa. Durante il parto, l’inconveniente può emergere anche quando le previsioni non lo includono e un’abitazione non un luogo medicalizzato per risolverlo. Esistono Paesi come la Norvegia dove le distanze sono enormi, e allora il parto a domicilio diventa necessario. Qui, in Italia, meglio le soluzioni intermedie: partorire in ospedale, restarci un paio d’ore e tornare subito a casa».

«Lo dimostrano cifre e studi - dice Lorella Montegazza ex assistente in sala parto - lo stress provocato dall’ “ospedalizzazione” della futura mamma causa l’abbassamento di ossitocina, un ormone indispensabile per l’elasticità dell’utero, per ritmare le contrazioni, per limitare il rischio di emorragie. Una casa non è più pericolosa di una sala parto».

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