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di Valeria Ballarati

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Home Donne Anche io, tanti anni fà ...

Anche io, tanti anni fà ...

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di Franco Bomprezzi

Sono colpito, ma non sorpreso, dalla quantità impressionante di commenti che sono piovuti nel blog dopo la pubblicazione, coraggiosa e doverosa, da parte di Simone Fanti, della toccante lettera di Queen Ann. Abbiamo toccato il nervo scoperto, il più delicato, di una società che preferisce non vedere, non sentire, non capire. Difficile rimanere indifferenti quando un grande mezzo di comunicazione, come corriere.it, affronta senza pudori né ipocrisie il tema dell’amore negato, del sesso, della difficoltà spesso irrisolvibile per le persone disabili. Io stesso confermo di aver avuto, tanti anni fa, un’esperienza – una sola – di sesso a pagamento. L’ho raccontata in un libro, uscito nel 2003, “Io sono così” (Il Prato, Padova), ora esaurito e ripubblicato da Libertà edizioni con il titolo “Cucire la memoria”. Per concessione dell’editore pubblico qui volentieri il capitolo nel quale racconto la mia avventura di ventenne. Era il 1972, più o meno, quando incontrai Maria. Ecco che cosa ho scritto. Parole che mi emozionano ancora, e che affido ai lettori “InVisibili”. Pagine che colpirono anche Candido Cannavò, al punto da chiedermi di poterle inserire nel suo indimenticabile “E li chiamano disabili”.

“Ho bisogno di sesso. Almeno credo. Troppe volte da solo, a immaginare un contatto fisico, una pelle da sfiorare, un gesto da compiere, un’emozione da provare senza la mediazione del pensiero. Adesso ho poco più di vent’anni. Giro per le strade di Padova. Fa caldo, è una tarda serata d’estate, guido con circospetta lentezza. Non so se riuscirò a decidermi. Non l’ho mai fatto, e non sono sicuro di volerlo. Misurare la mia virilità con una prostituta. Non è facile decidere, non basta un film a convincerti. Gli amici non parlano,e forse ne sanno meno di me. Percorro i viali consueti, frequentati da un popolo di ogni ceto, con targhe di tutto il Veneto e anche di più. Cerco di fare tardi, spero che i miei vadano a letto presto, non posso pensare di entrare in casa con una donna, portarla in camera mia, chiudere la porta, con i miei che guardano la televisione. Non ce la farei mai. Intanto penso. In periferia no. È pericoloso, non riuscirei neppure ad accostarmi al bordo della strada per chiedere la tariffa. Mi sento sempre più impacciato, indeciso, temo che perfino una prostituta mi dica di no. Quanto dovrò pagare? E se mi riconoscono? E se non vuole venire a casa mia? Come faccio, dove vado? In albergo non mi fido, non mi sento sicuro, mi mancano gli appoggi, per ora riesco a sdraiarmi solo con l’aiuto di una stampella infilata nel bordo di legno del letto, un altro ingegnoso trucco per costruirmi una mobilità protetta, da boccia di vetro, solo in casa mia. Altrimenti, fuori, sono costretto a chiedere aiuto, a farmi sorreggere, a cercare equilibrismi pericolosi. No, non ce la farei mai. L’unica chance è la mia camera. Devo provarci, non è così difficile. Ho messo da parte un po’ di soldi. Lezioni private, quasi tutti i pomeriggi. Sono soldi miei. Non potrei mai pagare una donna con i soldi di papà e mamma. Ecco, vedo una splendida donna. Capelli neri, alta, quasi elegante, non sembra neppure una di quelle. Ma lo è, il posto è quello, all’angolo della grande piazza, in pieno centro. Sta parlando con una sua collega, più bassa, di carnagione scura. Non è male neanche l’amica, ma io sono colpito da lei. Mi piace, mi rassicura. Faccio un primo giro, senza rallentare troppo. Il cuore batte forte. Mi decido e mi accosto, abbasso il finestrino. Lei mi guarda. Capisce. Parla con l’amica. Un rapido cenno d’intesa: insieme. Tutte e due. Oppure niente, non se ne parla. Prezzo scontato, settantamila. Non ho alternative. Ci sto. Salgono in macchina, lei accanto a me, si sistema i capelli, ha due gambe affusolate, snelle, abbronzate. Parliamo. Nello specchietto osservo l’amica, seduta dietro. Non avevo previsto una situazione del genere. Mi costerà troppo, ma ora non voglio pensarci. Arriviamo a casa, è buio, dico loro di fare in silenzio, di salire le scale mentre io prendo l’ascensore. Mi osservano scendere dalla macchina, non sembrano impressionate. Io ormai sono sereno. Vanno in bagno, nel mio, una alla volta, mentre io mi spoglio. Poi lei, Maria, osserva i libri dietro la mia scrivania, scorre i titoli con la mano, è colpita dalla mia cultura. Le piacerebbe leggere di più. Parliamo, mi rassicuro. Poi sento il suo profumo, si spoglia con naturalezza, in un attimo. Mi aiuta. La sua collega si concentra giù, in basso, inginocchiata sul letto. Io intanto mi perdo nel suo seno, scopro i capezzoli turgidi, grandi. E mi accorgo che sanno di latte. La guardo. Sì, è mamma da pochi mesi. Sorride dolce, mi sento attraversato da un’emozione forte e nuova, che dal cervello percorre la spina dorsale fino al terminale che attende istruzioni. Sono impacciato, mi irrigidisco temendo di non essere pronto, di fare una pessima figura. Non so bene che cosa succede. Ma è una sensazione dolcissima. Lascio fare a loro. Le loro mani percorrono il mio corpo con tenerezza professionale, capiscono che cosa sto provando, non hanno problemi davanti alla mia gamba corta, al mio petto un po’ storto, al mio fisico strano e diverso. Finisce presto, secondo me. E invece non è vero, è trascorsa più di un’ora. Si rivestono con calma, Maria mi guarda e dice che è pronta a tornare, anche da sola, la prossima volta. Le accompagno in macchina al loro posto di lavoro. Non le rivedrò mai più.

Anzi, no. La foto di Maria mi colpirà come un pugno, una mattina, in redazione, qualche anno più tardi. La troveranno accoltellata in un’auto, morta. Un balordo ha spezzato i suoi sogni di mamma normale, che aveva comprato l’appartamento per i suoi figli, e sperava di smettere presto, di vivere da signora. Non potrò mai più dirle grazie, per quella notte che mi rese adulto, e che non mi fece più desiderare un’altra donna a pagamento. Per me c’era solo lei, Maria, e il suo sesso che profumava di pulito. I miei colleghi al giornale intuirono subito che la conoscevo. Raccontai loro questa storia, senza troppi particolari. Non la scrivemmo mai”. Fonte

 

Commento:  alcuni argomenti si capiscono meglio (e si comprendono maggiormente) quando qualcuno coraggioso, che li ha vissuti, te li racconta direttamente.