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di Valeria Ballarati

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Il 25 Novembre alziamo la voce

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L’arma più potente di una donna contro la violenza è la parola. Il 25 novembre alziamo la voce.


La violenza sulle donne non conosce tempo né luogo; non ha cultura né religione. Il suo volto ha gli occhi di tutte le donne del mondo. Occhi che vorrebbero gridare forte quel dolore che sempre di più resta soffocato nella gola. In silenzio per negare, per giustificare, per permettere che accada ancora. Il prossimo 25 novembre ogni donna avrà un’opportunità in più per sciogliere questo nodo, mostrare senza vergogna le cicatrici che porta sul proprio corpo e prendere coscienza dei segni invisibili, quelli più difficili da riconoscere perché frutto di una violenza ancora più spietata fatta di subdole intimidazioni, minacce e limitazioni. Sono i pugni sul cuore, i colpi all’anima che logorano piano la dignità, fino ad annientarla completamente.

La giornata mondiale contro la violenza sulle donne, istituita con la risoluzione n. 54/134 dalle Nazioni Unite nel 1999, nasce allo scopo di sensibilizzare governi, istituzioni e società civile ma soprattutto di dare voce ai tormenti che accomunano milioni di donne al mondo.Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità una donna su cinque ha subito nella sua vita abusi fisici o sessuali da parte di un uomo e il dato più agghiacciante è che nella maggior parte dei casi gli aggressori sono famigliari o amici della vittima. In Italia l’Istat ha stimato in 6 milioni 743 mila le donne dai 16 ai 70 anni vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita. Il 23, 7% di esse ha subito violenza sessuale, il 18,8% violenza fisica, mentre il 4,8% ha subito stupri o tentati stupri. 2 milioni 77 mila donne hanno subito comportamenti persecutori (stalking) e 7 milioni sono vittime di violenza psicologica. Nella quasi totalità dei casi gli abusi sono bocconi amari che scivolano giù e non vengono denunciati. L’aggressione domestica e fisica è solo uno dei tanti schiaffi al cuore delle donne. Nei paesi del terzo mondo la violenza è una normale componente del tessuto culturale e difficilmente viene ritenuta tale. In Asia migliaia di ragazze vengono vendute dalle famiglie per essere avviate alla prostituzione. In Africa le mutilazioni genitali femminili sono una pratica diffusissima. Una donna infibulata è una donna “pura” e chi si oppone viene tristemente alienata dalla società. In Afghanistan e nei paesi di origine islamica alle donne è vietato mostrare il volto se non al proprio marito. Indossano un burqua per rimanere caste, perché ogni sguardo, ogni minima espressione potrebbe essere peccaminosa, illecita. In Cina le donne che non rispettano la politica del figlio unico sono soggette a sterilizzazione e aborto forzato, detenzione arbitraria e tortura. E poi ci sono le tante Sakineh, colpevoli semplicemente di amare e per questo torturate e condannate a morte nel modo più crudele.Perché il 25 novembre non sia solo la giornata contro gli abusi e la violenza ma contro il silenzio e l’indifferenza è necessario dare alle donne gli strumenti e la sicurezza per avere il coraggio di prendere coscienza, di alzare la voce, di non sentirsi sole per non avere più paura. Contro chi considera la donna ancora come un oggetto, una proprietà privata, un burattino, una bambola di pezza. O forse contro chi non la considera affatto.
Simonetta Minaudo