Nel maggio scorso a Prato, è stato inaugurato un parco urbano chiamato Il Bosco di Neofite, si tratta di 7500 mq nei quartieri Allende e Tobbiana. A firmare il progetto il noto neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, una società spin-off dell’Università di Firenze PNAT, Project Nature e l’Associazione Arte Continua.
Contro questo piccolo parco urbano si sono levate le voci del mondo della botanica ufficiale, ben tre istituzioni, la Società Botanica Italiana, la Società Italiana di Biogeografia e la Società Italiana di Scienza della Vegetazione hanno firmato un documento contro l’introduzione in questa area verde di tre specie in particolare, quercus rubra, eucalyptus globulus e robinia pseudoacacia. Negli intenti degli autori del parco la piantumazione di queste specie è proprio la manifestazione visiva delle neofite come essenze che arrivano da lontano ma, come gli esseri umani migranti, piano piano si adattano e vivono armoniosamente con gli autoctoni.
L’attacco dei botanici che ha trovato vasta eco sulla stampa, contesta questo parallelismo e paventa, come per il granchio blu, l’invasività di queste essenze a danno della flora locale. Per fortuna, i botanici stessi, riconoscono che, trattandosi di un parco urbano, l’invasività è relativa ma, insistono, queste specie proprio non le volevano. Stefano Mancuso è conosciuto, ha pubblicato libri che hanno grandemente contribuito a diffondere conoscenza ed amore per le piante in queste paese. Al pari di altri personaggi, relativamente pochi in Italia, Mancuso in questi ultimi anni ha aiutato a divulgare una sana cultura delle piante fuori dal ristretto campo degli specialisti, questi botanici che nessuno conosce. Si capisce che molti comuni, Prato non è di certo la sola eccezione, si fidino di questi divulgatori ed affidino a loro la realizzazione di parchi urbani, non diversamente da quanto accade all’estero ( Gilles Clèment, celebre architetto paesaggista, ha realizzato il Parco Andrè Citroen a Parigi)
Sarà questo essere esclusi, fuori dai giochi che induce i botanici a coalizzarsi contro chi tanto fa per creare una vera e popolare cultura del verde? La robinia si chiama così da Jean Robin, giardiniere del re di Francia, era la pianta preferita da Alessandro Manzoni, introdotta per la bellezza dei suoi fiori, profumati, ricercati dalle api, commestibili, da ottimo legna e, nelle zone bruciate, rapidamente e a costo zero, provvede al rimboschimento in autonomia, è una leguminosa e quindi arricchisce il terreno, Giorgio Nebbia, su queste pagine, ne tesseva le lodi.
Solo per stare alla vituperata robinia. Attaccare Mancuso per questo è sterile. Qualche eucalipto e qualche quercia rossa americana, già presenti da secoli in Europa, presenti nel Bosco delle Neofite, non cambieranno la tremenda situazione del nostro verde urbano minacciato da cementificazione ed asfalto, le preclare associazioni di botanici hanno palesemente sbagliato bersaglio e sollevato polemica. Il vero intento era quello di far sapere della loro esistenza? Credo proprio di sì: nulla hanno detto quando in questo paese ovunque nelle grandi città sono stati schiantati parchi urbani immensi per far posto ai deliri del sacco urbano degli anni sessanta e settanta. Lunga vita al Bosco delle Neofite e grazie ad innamorati veri delle piante come Stefano Mancuso.
Commento: sono figlia di un taglialegna, è noto. Papà tagliava boschi di robinie già dagli anni ’60 e prima di lui lo faceva nonno Emilio. Sono almeno 70 anni che si tagliano robinie nei boschi della provincia milanese: è polemica davvero singolare.
prima data di pubblicazione: 5 luglio 2024