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di Valeria Ballarati

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La discarica la metti a casa tua

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C’era una volta il fenomeno «Nimby», acronimo di Not in my back yard (non nel cortile di casa mia), e stava a identificare quel diffuso sentimento di protesta e di indignazione di fronte ad alcune grandi opere strutturali che andavano a cambiare (inquinare, danneggiare, deturpare) un certo territorio.

Questo fenomeno è ormai talmente diffuso che esiste un «Nimby Forum», cioè un osservatorio che analizza rigorosamente questa galassia di malessere e che ieri ha presentato il suo sesto Rapporto. Risultato: se nel 2004 c’erano stati 190 impianti contestati in tutto il Paese, nel 2010 si è arrivati a 320, di cui 158 del tutto nuovi. Insomma, c’è da una parte una difesa a oltranza del territorio e delle sue caratteristiche e dall’altra l’insorgere di paure sempre crescenti per gli effetti dell’inquinamento - acustico, ambientale, visivo - che spinge intere comunità, spesso con tanto di sindaco in testa, a opporsi a decisioni prese da enti sovracomunali (dalla Provincia fino al governo nazionale) riguardo all’installazione di determinati impianti.

Tra le opere più duramente contestate, per esempio, c’e l’alta velocità Torino-Lione, tratto italiano del Corridoio europeo numero Cinque, che va da Lisbona a Kiev. E contro questa opera sono state fatte lotte, barricate, manifestazioni, quasi delle rivoluzioni.

Ma ci sono anche le discariche e gli inceneritori, perfino in zone in cui le città sono sommerse dall’immondizia. A Napoli, per dire, si agitano battaglie quotidiane contro la discarica di Chiaiano, quella di Taverna del Re e quella di Terzigno. E se uno non vuole le discariche, meglio i termovalorizzatori? No, dicono i Nimby napoletani: non va bene quello di Salerno e neppure quello, più vicino, di Ponticelli. Ma le proteste riguardano anche impianti che vanno nella direzione della tutela ambientale e del risparmio energetico: gassificatori, impianti eolici e solari, centrali per il recupero energetico delle biomasse.

«Analizzando la distribuzione dei 320 impianti contestati nei settori di appartenenza - spiega il Rapporto - la VI edizione mostra un ulteriore balzo in avanti del comparto elettrico, che con il 58,1% comprende 186 casi. Il comparto elettrico si conferma quindi per il secondo anno consecutivo il settore più contestato; restano stabili, seppur con leggeri scostamenti, le posizioni successive con il settore dei rifiuti al secondo posto (32,5%), seguito da infrastrutture (5,3%) e impianti industriali (4,1%)».

E la protesta avviene indipendentemente dal fatto che il controverso manufatto sia un’opera già in cantiere oppure un progetto non si sa quanto realizzabile: vige la vecchia massima per cui chi «picchia prima picchia due volte».

A protestare sono soprattutto dei comitati civici (25,4%) seguiti da politici locali (23%) e dagli stessi comuni (18,6). Il 54,4% dei comuni interessati normalmente è contrario, specie se amministrato da una lista civica fuori dai partiti (60%) ma è interessante notare che a favore della rivolta si schiera fino al 90% dei comuni limitrofi.

In questo quadro di insurrezione latente, s’avanza poi la figura del «Nimto» (Not in my term of office) che potremmo tradurre, alla buona: non fintanto che comando io. Ed è la protesta di amministratori locali che si battono fino allo stremo perché un impianto, ancorché inevitabile, venga differito oltre i tempi del proprio mandato. Nel peggiore dei casi potrà sempre dire: «L’argine è durato finché ci sono stato io».

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