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di Valeria Ballarati

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Gli alberi ci salveranno

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Per ripulire i siti inquinati pianteremo alberi. Sarà, infatti, grazie all’aiuto delle piante capaci di reagire ai contaminanti, che potremo riutilizzare e sfruttare i terreni contaminati come serbatoio energetico. Una procedura basata su criteri scientifici chiamata fitorimedio, messa punto negli Usa e sperimentata con ottimi risultati per la produzione di biomassa, a partire dal 2001. E che ora, comincia a fare capolino come possibile soluzione anche nel nostro Paese.

LA SITUAZIONE ITALIANA - La situazione italiana diventa, con il passare degli anni e l’assenza di una normativa specifica, ricca di casi di difficile gestione. Migliaia di ettari ancora pieni di amianto, centinaia di aree industriali dismesse abbandonate a se stesse e bonifiche urgenti che, per mancanza di tempo o denaro, non vengono fatte. E siti di interesse nazionale da ripulire scaricati sulle spalle delle pubbliche amministrazioni comunali. Ma anche, operazioni effettuate con tecniche talmente distruttive per i terreni da lasciare dei veri e propri vuoti biologici. Tecniche di recupero basate sulla sterilizzazione e messa in discarica della terra contaminata che cancellano per sempre ogni forma di vita. Troppo spesso utilizzate per star dietro agli interessi economici che gravitano attorno ai siti da decontaminare: dall’apertura di un nuovo centro commerciale a evitare una multa da parte della Comunità europea. Eppure, è ormai accertato che ci sono altri sistemi. Tra cui, per combattere l’inquinamento del sottosuolo, le tecniche vegetali.

FITORIMEDIO – A risolvere, quindi, due problemi gravosi come inquinamento e produzione di energia, le prime sperimentazioni in Italia con protagoniste le piante. Messe in atto in quasi tutte le regioni, dal Veneto al Trentino, dalle Marche all’alto Lazio, con la pulizia di un sito a Porto Marghera, fino a quelle dove il problema contaminazione sembra essere all’ordine del giorno come la Campania. «L’utilizzo delle piante per la decontaminazione», spiega Paolo Sconocchia, direttore della sezione energia dell’Arpa di Terni, «rappresenta per l’Italia un grande passo avanti. In questi anni, del resto, sono tante le comunità scientifiche e i poli di ricerca universitari che hanno sperimentato le fitotecnologie e selezionato piante e alberi da piantare in modo da ottenere la giusta interazione tra specie botaniche e microrganismi dei terreni».

INQUINAMENTO - Ogni pianta utilizzata nel processo del fitorimedio, infatti, viene scelta per le sue caratteristiche naturali di metabolizzazione degli elementi inquinanti. Dall’affinità con i metalli alla capacità di ripulire l’acqua dalle sostanze tossiche. «Per questo motivo», prosegue Sconocchia, «quando non c'è fretta si possono cercare, a seconda dei casi, le soluzioni migliori. Individuando con successo la pianta più adatta a svolgere la decontaminazione. Sono centinaia, per fortuna, le piante che si prestano a svolgere diverse operazioni. Tra queste, le più utilizzate sono le felci per la capacità di accumulo dei metalli, ma anche la comune canna di fiume, utilizzabile in un secondo tempo come biocombustibile».

PIOPPETO PER L'ENERGIA – Tra gli esperimenti più produttivi, infatti, quelli che coinvolgono alberi, arbusti e piante a 360 gradi, dalla pulizia del terreno alla produzione di biomassa. Ossia quelle che travalicano la mera funzione di decontaminanti per diventare fonti di energia rinnovabile. Un esempio perfetto il pioppo, prodotto in diverse valli italiane, grazie a numerosi progetti di recupero ammbientale. Tra cui, quello portato avanti in Umbria negli ultimi anni di nome Remida (Remediation energy production and soil management). Un metodo innovativo e versatile per la gestione dei siti inquinati, basato sulla piantumazione di pioppi e messo a punto a partire dal 2008 dal dipartimento di scienze del’ambiente forestale e delle sue risorse dell’Università della Tuscia, l’istituto di biologia agro-ambientale del Cnr e Arpa Umbria. «Si tratta», spiega il rappresentante dell’Arpa, «di un metodo che prevede la coltivazione di specie arboree a rapido accrescimento per la bonifica dei terreni e la produzione di biomassa. A questo scopo, le piantagioni di pioppo sono l’ideale perché oltre a crescere in fretta, hanno un costo molto contenuto. Al momento», aggiunge Sconocchia, «stiamo effettuando la piantumazione su tre siti pubblici, dove sono coinvolte due aree del Comune di Foligno e un sito di interesse nazionale a Terni, legato all’industria della chimica e dell’acciaio. Quest’ultimo richiede maggiore attenzione, sia per la dimensione del sito che per il grosso impatto che ha sugli abitanti. Per questo, con la parte della piantagione che coltiveremo a biomassa, abbiamo anche intenzione di rifornire di energia un campo da calcio che si trova nelle vicinanze».

ESEMPIO USA – Un problema, quello delle sorti dei siti inquinati che ci accumuna a diversi Paesi come, ad esempio gli Stati Uniti. Dove, da diversi anni, si usano come chiave di volta i fitorimedi. E dove le politiche nazionali accelerano per la riconversione dei terreni. Visti, soprattutto, come luoghi ideali dove far crescere energie rinnovabili e biocarburanti. Del resto, secondo le ultime stime dell’Epa (Environmental Protection Agency) gli Usa dovranno pensare a come riconvertire 6 milioni di ettari contaminati, formati da 490 mila siti inquinati. «Tra le soluzioni che l’Epa porta avanti», conclude Sconocchia, «molte sono legate all’utilizzo delle piante. L’agenzia americana, infatti, non solo promuove il fitorimedio, ma stampa anche guide dettagliate per i cittadini, dove viene spiegato nel dettaglio la capacità di bonificare il suolo e di produrre biomassa di ogni specie botanica».  Fonte

http://www.arpa.umbria.it/canale.asp?id=1492