A proposito di un’intervista
di Marco Travaglio | 20 giugno 2012
Cari amici del blog, del Fatto e de ilfattoquotidiano.it, non ho ritenuto finora di rispondere alle critiche di alcuni di voi alla mia conversazione con Beppe Grillo perché, quando diciamo che i lettori sono i nostri unici padroni, non lo diciamo per scherzo, ma sul serio. Quindi chi legge il Fatto ha il sacrosanto diritto di criticarci e noi giornalisti del Fatto dobbiamo tener conto delle critiche, anche quando ci sembrano ingiuste e non le condividiamo. Tutt’altra faccenda è se quelle critiche arrivano da giornalisti servi che non hanno mai fatto una domanda in vita loro perché non sanno proprio che cos’è: in quel caso mi incazzo e rispondo per le rime. Quindi se mi occupo, per la prima e l’ultima volta, delle critiche alla mia chiacchierata con Grillo, non è per giustificarmi, visto che non ritengo di avere nulla di cui giustificarmi. E’ soltanto per spiegare come sono andate le cose, anche se credevo che fosse chiaro dal testo della chiacchierata.
Le interviste si fanno quando il giornalista ha qualcosa da chiedere a un personaggio, o quando il personaggio ha qualcosa da dire al giornalista. Se mancano entrambi i presupposti, l’intervista non si pubblica (così almeno la vedo io). Non vedevo né sentivo Beppe Grillo da diversi mesi, anche se lo seguivo da lontano. Mi ha invitato a casa sua a fare due chiacchiere e ci sono andato di corsa: sia perché siamo amici da vent’anni, sia perché Grillo è uno dei personaggi più interessanti dell’attuale momento politico. Mi interessava ascoltare quel che pensa, quel che intende fare di fronte al boom del movimento 5 Stelle, come vive questo momento, cosa dobbiamo aspettarci da lui e da M5S nel futuro. Il che, naturalmente, non implica minimamente un’adesione mia né men che meno del Fatto al Movimento 5 Stelle, che giudicheremo dai fatti e dai comportamenti come tutte le altre formazioni politiche.
Grillo e io abbiamo conversato in casa sua per tre ore, alla presenza della sua famiglia. Gli ho chiesto molte cose, altre le ha chieste lui a me. Io, per deformazione professionale, prendevo appunti, ma senza sapere se alla fine ne sarebbe uscito qualcosa di interessante per i lettori. Non gli ho chiesto alcuna autorizzazione di pubblicare qualcosa, né lui mi ha chiesto se l’avrei fatto. Uscito da casa sua, rileggendo gli appunti, mi sono domandato se quel che mi aveva detto fosse o meno interessante per i lettori. Mi sono risposto di sì, accidenti: emergeva un Grillo nuovo, inedito, riflessivo, addirittura preoccupato per il successo tumultuoso del suo movimento e per lo sfarinamento troppo rapido dei partiti. Un Grillo anche si pone degli interrogativi e non a tutti riesce a rispondere dinanzi a fatti che stanno diventando più grandi di lui. Magari qualcuno avrebbe preferito che mi tenessi tutto per me. Ma siccome l’unico faro della mia attività di giornalista è “la notizia”, cioè quel che può interessare ai lettori e che io, con i miei occhi e i miei orecchi, riesco a captare, ho deciso di pubblicare tutto: appunto per mettere a disposizione dei lettori ciò che avevo visto e sentito.
Il risultato della conversazione è sotto il giudizio dei lettori: non c’è trucco, non c’è inganno, è tutto lì sulle due pagine del nostro giornale. C’è, è ovvio, il mio pregiudizio positivo (una sorta di conflitto d’interessi affettivo) nei confronti di un personaggio che – mia personalissima opinione – dà alla politica un contributo di generosità, portando nelle istituzioni centinaia di giovani impegnati e alle urne centinaia di migliaia di cittadini che altrimenti si rifugerebbero nell’astensionismo, nel qualunquismo, o peggio ancora – come in altri paesi d’Europa – nel neonazismo.
Non c’è nulla di più pubblico di un articolo pubblicato: è lì, bello stampato, e ciascuno può valutarlo come crede. Certo, chiunque legga ha curiosità diverse dalle mie e al posto mio avrebbe magari voluto sapere da Grillo qualcosa di più su questo o quell’argomento. Più domande sul caso Tavolazzi? Più domande su Casaleggio? L’ennesima ricostruzione di un tragico incidente d’auto di venti e più anni fa? E magari anche di quella volta che Grillo copiò un compito a scuola o fregò la merendina al compagno di banco? Tutto legittimo. Le mie curiosità erano altre, forse un po’ più attuali: quelle di cui ho parlato con Grillo. Comprese questioni problematiche come la proprietà del marchio 5 Stelle e dunque le regole di democrazia interna al movimento, l’inadeguatezza del programma (da lui stesso ammessa) in vista delle elezioni politiche, i criteri di selezione delle candidature e degli eventuali ministri, le ipotetiche tentazioni di candidarsi in prima persona.
Certo, se avessi avuto di fronte il cardinal Bertone, o Berlusconi, o Schifani o Penati, l’intervista sarebbe uscita diversa, molto diversa: perché l’attualità, per quei personaggi pubblici, mi avrebbe portato a parlare dei loro scandali pubblici. Ed è questa la ragione per cui ho spesso detto che non bisogna fare sconti a nessuno e dunque ho criticato le interviste in ginocchio di tanti giornalisti italiani, che con chi è coinvolto in scandali parlano solitamente dei massimi sistemi e del sesso degli angeli. Ma le interviste non possono essere tutte uguali: ciascuna fa storia a sé, e le domande devono essere calibrate a seconda della storia e della personalità dell’intervistato.
Non fare sconti a nessuno non significa chiedere a tutti gli intervistati dei loro favori alla mafia, o delle loro leggi vergogna, o delle loro tangenti, o dei loro abusi di potere, anche a chi non ne ha mai fatti. Altrimenti il modello di intervistatore diventa Marzullo, che fa a tutti le stesse domande tratte dallo stesso prontuario, senza badare chi ha di fronte. Non fare sconti a nessuno significa che, se il mio amico Grillo prende tangenti o ha rapporti con la mafia o abusa del suo potere o approva leggi vergogna, dev’essere trattato come chiunque altro tenga gli stessi comportamenti, sia esso di destra, di sinistra, o di centro, o sotto, o sopra o un po’ di lato. Ma, al momento, non mi risulta che Grillo abbia avuto rapporti con la mafia, preso tangenti, fatto leggi vergogna, abusato del suo potere: se e quando lo farà, gliene chiederò conto come a tutti gli altri, anzi con più severità che con gli altri, proprio perché è un mio amico e proprio perché ha sempre detto che lui e il suo movimento sono diversi dagli altri, anzi migliori, e per questo chiedono e prendono voti.
Detto tutto ciò, cari lettori, continuate a criticare il mio e il nostro lavoro quando ve ne pare il caso. Magari, se posso dare un consiglio, giudicate ciò che leggete senza andare per forza, a tutti i costi, a cercare “quello che c’è dietro”. Perché almeno una cosa spero che in questi tre anni ce la siamo conquistata: la reputazione. “Dietro” di noi, anche quando sbagliamo, ci siamo soltanto noi. E davanti a noi ci siete soltanto voi.
Commento:
Caro Travaglio, grazie! ma non era necessario.
Chi la contesta é in palese cattiva fede per chissà quali suoi motivi: l'intervista é li da vedere, basta e avanza. "A la guerre comme a la guerre" caro Travaglio. Ho scritto questo identico commento giorni fà al corriere, sotto ad un pezzo dubbio firmato "redazione" chiedendo chi era che scriveva quella roba, chiedendo un po' di dignità, ma non l'hanno pubblicato nell'apposita sezione "scrivi". Il Corriere della Sera: il mio giornale d'affezione, il giornale storico di Via Solferino che ho sempre visto in casa, che leggeva mio nonno ...
Quest'anno ci siamo abbonati al fatto e siamo piuttosto contenti.
PICCOLO CONSIGLIO PER TUTTI: se non l'avete ancora fatto, cercate on-line gli azionisti dei principali quotidiani nazionali e poi guardate qui chi ha creato il Fatto e perché.