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Il giornalista che sapeva insegnare

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Addio a Gaetano Tumiati, il giornalista che sapeva insegnare
di Valeria Gandus

Ci sono le grandi firme e quelli che stanno dietro le quinte, a confezionare bei giornali, proprio come un buon sarto taglia, cuce e confeziona un bel vestito.

Gaetano Tumiati era uno di loro. Era, perché è morto ieri (28 ottobre 2012, n.d.r.) alla ragguardevole età di 92 anni, in buona parte spesi a fare, bene, la professione che amava: prima grande inviato di Esteri e, in seguito, roccioso uomo di desk. Fu il primo giornalista occidentale a visitare e raccontare la Cina di Mao e gli piaceva rievocare come ci riuscì: era un giovane redattore del glorioso quotidiano socialista l’Avanti! quando un giorno Pietro Nenni, in visita alla redazione milanese, gli chiese di che cosa gli sarebbe piaciuto scrivere. “Della Repubblica popolare cinese” rispose Gaetano. Detto, fatto: Nenni prese un foglio di carta intestata dell’Avanti! e scrisse di suo pugno: “Cher camarade Mao Tse Tung, …”.

 

Gaetano è stato mio caporedattore e poi vicedirettore nel Panorama di Lamberto Sechi, una vita fa. Noi ragazzi di allora, che gli volevamo bene ma sbuffavamo alle sue correzioni, ai suoi tagli, alle sue riscritture, lo chiamavamo perfidamente “Banal Grande”: perché era altissimo, certo, ma soprattutto poco propenso a condividere certe nostre impennate stilistiche. E dunque tagliava, correggeva, smorzava, “banalizzando” i nostri non rimarchevoli scritti, in realtà facendo un servizio al lettore, e a noi stessi.

Non è solo la nostalgia per un’età d’oro del giornalismo che mi spinge a ricordare e a onorare Gaetano Tumiati, che nella sua lunga e prolifica vita ha scritto anche dei libri belli e importanti come “Il busto di gesso” (premio Campiello 1976) o “Prigionieri del Texas”, sulla sua esperienza nel campo di prigionia di Hereford. È soprattutto la desolazione per ciò che sono diventati i giornali oggi, pieni di refusi, di anacoluti, di stucchevoli esercizi di stile. E troppo spesso poveri di notizie, oltre che di buona scrittura.

Perché scarseggiano i bravi giornalisti che sanno insegnare ai giovani, con affetto oltre che con professionalità. Come faceva Gaetano, che amava il suo lavoro e amava noi. Ricambiato, oggi, come e più di allora.

 

Commento:

solo chi ha capito che non perde nulla dall'insegnare ad altri la conoscenza, trasferirà il suo sapere per intero. Belle persone quelle: individui che confidano nel futuro, sono capaci di amare, non hanno paure e sanno che quella é la cosa da fare.

Grazie omonima, grazie del bel racconto d'esperienza.

 

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«Quanto siamo stanche io e te. Dovremmo riposarci un po’» dice Donatella a Beatrice mentre il Valium fa effetto sul lungomare di Viareggio all’imbrunire, è un dialogo che ti rimane dentro, come tutta La pazza gioia.

- See more at: http://www.paperstreet.it/cs/leggi/la-pazza-gioia-paolo-virzi.html#sthash.F3ffjhMI.dpuf

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