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di Valeria Ballarati

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Home I miei pensieri filosofici ... Il tempo che ci resta

Il tempo che ci resta

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Oggi vi propongo una sfida, lo so.

Ma ne varrà la pena, se avete abbastanza pazienza.

Ho trascritto, riassumendo, un gran bel video che si trova on line, é del Prof. Bancalari. L'ho fatto perché l'ho trovato utile. Non vi fate spaventare dai termini, é tutto piuttosto comprensibile, specie nella parte dove parla di noi, che siamo ESSERI e invece ci consideriamo ENTI (come delle cose) finendo così per vivere una via inautentica, che non é la nostra.

La vita inautentica é dove non decidiamo noi cosa ci va o non ci va bene, cosa dobbiamo o non dobbiamo fare, ma ci adattiamo alle convenzioni: "si fa così, si é sempre fatto così". Ecco, questo SI impersonale non é quello scegliamo noi ma é quello che va bene ad altri che vorrebbero decidere al posto nostro. E allora per provare a capire il meccanismo vi invito a guardare il video tenendo il riassunto davanti, così da comprendere meglio quanto spiegato benissimo dal caro Professore. E' ora di riappropriarsi del proprio tempo: il tempo che ci resta.

V.


Essere e Tempo - video online del Prof Bancalari

https://www.youtube.com/watch?v=vjVXunGMGY8

1927 - La domanda di Essere e Tempo è una domanda semplice (qualità filosofica del testo)

La domanda viene introdotta con esempi semplici: ‘il cielo è azzurro’ ‘sono contento’

Cosa significa la paroletta è – sono che collega le altre parole? Interroga sul significato dell’ è – Essere.

La DOMANDA SULL’ESSERE imbarazza i lettori di Parmenide e Aristotile ma anche la Filosofia.

Esergo tratto dal Sofista di Platone; lo straniero di Elea dice ai suoi interlocutori: voi sembrate sapere cosa è questo ESSERE ma noi siamo in completa difficoltà. Per rispondere a questa domanda ci sono due vie:

  1. La prima è la notissima tesi di Heidegger: l’essere non è l’ENTE, c’è una differenza da sondare. Ma la domanda non dovrebbe essere quindi <cosa è> – ti esti – che così posta prepara già a una risposta che riduce l’essere all’ente, che parlerà dell’ente, e l’essere non è un ente; bisogna fare una domanda diversa da ‘cosa è’ che è la tendenza naturale del tipo di domanda che si pone, ci si appiattisce sull’ontico (aggettivo che riguarda l’ente) mentre noi dobbiamo girare lo sguardo sull’ESSERE.
  2. La seconda via, ciò che orienta nella comprensione dell’Essere, è il TEMPO. È un orientarsi inconsapevole: l’uomo comprende essendo vigente l’appiattimento sull’ente, ma non è la vera relazione al Tempo in quanto tale, ma percepito in relazione alla specifica modalità della presenza. Ma esser presente è solo una delle modalità temporali, ma noi pensiamo che ciò che è assente di fatto è un NON E’.

QUINDI DI BASE, normalmente, comprendiamo l’ESSERE come ENTE E ENTE PRESENTE. E queste sono le due vie di risposta che orientano Heidegger nella domanda, all’interno dell’opera.

Dopo l’esergo c’è una introduzione che serve a comprendere come si muoverà nelle molte pagine successive, e comincia con la giustificazione della domanda vuota (senza contenuto, perché le domande sono relative all’ente, all’ontico) che deve essere per lui riproposta. E lavora sulla struttura della domanda. Ogni domanda presuppone qualcosa su cui si domanda. Ma ogni domanda presuppone che ci sia qualcuno che risponde, interpellato. Non posso porre in astratto: a chi pongo? All’unico ente che può rispondere: l’ESSERCI. Chi? L’uomo.

Perché dice ESSERCI? Perché è interrogato non come anima-corpo, ma come Ente capace di rispondere alla domanda sull’Essere.

Ora Heidegger mostra il primato ontico e ontologico della domanda

Il primato ONTICO – l’ente che deve rispondere, l’Esserci – nel piano che lo caratterizza non è indifferente, non è irrilevante rispondere alla domanda su di lui: l’esserci, nel suo essere, ne va di lui. È il problema più scottante tra le varie cose di cui si occupa l’Esserci. ONTICO SI RIFERISCE ALL’ENTE.

Ma la domanda ha anche un primato ontologico. ONTOLOGICO si riferisce all’ESSERE. Questa domanda è preliminare rispetto a ogni domanda ontica. Perché ogni Scienza si occupa di un certo ente (la matematica dei numeri, la biologica della vita) e sono scienze ontiche; ma finché non si pone LA domanda ontologica, la domanda preliminare sull’essere di cui quella scienze si occupa, non hanno fondamenti.

Quindi è vitale e urgente, ma anche bisogna prima aver compreso l’esser di cui si parla. Quindi la filosfia, la domanda sull’essere, ha un primato rispetto alla scienza.

Ma proprio perché è domanda sfuggente, che tendiamo a rimuovere, perché vogliamo occuparci dell’Ente, vogliamo toccare, sentire, misurare (15,46) e quindi dimentichiamo la domanda sull’Essere, tende ad essere compreso nei termini di Ente. Quindi è necessaria la DISTRUZIONE, cioè ‘smontare’ della storia dell’ontologia. Siccome la filosofia ha già cercato di rispondere ma lo ha fatto come abbiamo detto, è necessario adesso ripensare tutte le risposte date, per cogliere nell’appiattimento dell’essere sull’ente quei lampi nei pensatori prima di Heidegger che annunciavano la differenza, e che i pensatori hanno però rimosso.

Altro punto fondamentale dell’introduzione è il METODO dell’opera. Si dichiara allievo di Husserl e seguirà il metodo fenomenologico.

La fenomenologia, scienza dei fenomeni, è il tentativo di riportare la Filosofia al di là della teoresi e delle sovrastrutture, riportandola al fenomeno per ciò che appare. Es.: se mi pongo la domanda sull’Essere, la domanda che sembra la più astratta di tutte, me la pongo per via di un problema personale: l’Esserci deve porsi questa domanda nella via vita.

Husserl: ’alle cose stesse’ descrive ciò che si mostra.

E’ un riportare i problemi filosofici alle cose stesse, perché la filosofia rinuncia quando in Kant la comprensione rimanda a ciò che non si mostra, che sarebbe il fondamento stesso.

Per la fenomenologia non c’è il noumeno! Quello che appare è tutto ciò che é.

E questo paragrafo 7 di Essere e Tempo, che per molto tempo è stato ritenuto un tributo estemporaneo alla fenomenologia, sembra non collegato al linguaggio usato da Heidegger che è molto diverso da quello di Husserl. Ma Heidegger è secondo il prof. Un fenomenologo e applica il metodo del maestro.

L’ultimo paragrafo annuncia il piano grandioso dell’opera in due parti da 3 sezioni ciascuna, ma non verrà completata. Si scrivono solo le prime due della prima parte. Opera incompiuta.

La prima dove c’è l’elaborazione della comprensione dell’Essere di questo ente che è l’Esserci, e nella seconda le linee principali per la distruzione della storia dell’ontologia.

Prima sezione – analisi dell’Esserci. Cioè degli ESISTENZIALI, delle caratteristiche. Dice così perché non vuole che si pensi di parlare di una sostanza e accidenti, rapporto interno all’ontologia tradizionale – rapporto ontico – ma vuole parlare di modalità d’essere, perciò esistenziali e le distingue dalle categorie.

I caratteristica – 1 esistenziale : essere ogni volta mio. Esserci non è un concetto, ma un coinvolgimento, riguarda sempre qualcuno. E’ personale. Non c’è un concetto generale – es.: ‘animale’ e viene qui ricompreso ogni tipo di animale – Esserci è il destinatario di un problema individuale e irripetibile, io devo rispondere in prima persona di me stesso. Cosa che non viene vista dalla tradizione, che lo vede si con caratteristiche diversa ma in sostanza come tutti gli altri esistenti, certo diverso ma riconducibile a un concetto, senza coinvolgimento.

Sviluppa gli esistenziali in molte pagine. La sintesi degli esistenziali è il modo di essere dell’Esserci, alla fine della prima sezione. L’essere dell’esserci è la cura. Esserci come cura. Chiave strutturale per una lettura complessiva.

Cura cosa significa? Dal Latino, preoccupazione. L’esserci si preoccupa del proprio Essere. Vediamo da soli la favola di Igino: la cura come figura mitologica crea dal fango della terra con Giove che gli mette lo spirito, questo essere speciale.

La struttura della cura e dell’opera definizione complicata: la cura, cioè l’essere dell’Esserci, è l’avanti a sé, esser già IN, in quanto esser presso. Struttura coi trattini che lo contraddistinguono in scrittura.

Esserci è in 3 dimensioni fondamentali:

“avanti a sé”, l’esserci è costantemente slanciato in avanti perché si preoccupa: è quel che Heidegger chiama LA COMPRENSIONE, cioè aver a che fare con gli enti che incontra come sue proprie possibilità di fare qualcosa. Non ha atteggiamento contemplativo come nella fil tradizionale. Slancia sé stesso con l’ente oltre l’ente.

“esser già in” in un mondo, e quando si preoccupa delle cose da fare, e si preoccupa, è già condizionato da una storia che lo precede (gettato nel mondo, in una serie di possibilità e non altre) la storia prima di lui ha già aperto orizzonti e chiuso altre: è LA SITUAZIONE EMOTIVA. La chiama così perché l’Esserci esperisce la sua gettatezza e limitazione in possibilità, nel suo esser emotivamente situato. È soggetto a sentimenti e passioni che si impadroniscono di lui, non di sua iniziativa, significa che non comincia da sé stesso. E la fil tradizionale lo ha interpretato come ‘passioni’ che Heidegger dice struttura fondametnale della cura, e lo chiama esser già in.

“in quanto esser presso” ogni volta un determinato ente. In questo aver a che fare con un ente determinato in base alla comprensione e alla componente emotiva. La convergenza delle possibilità sull’ente, la DEIEZIONE, si ha quella che all’inizio è l’appiattimento sull’ente.

L’Esserci dimentica di sé stesso, che ha a che fare con la possibilità e il suo esser gettato nel mondo, e si concentra sull’ente, comprendendo tutto in relazione inclusiva con quell’enteciò lo porta fuori di sé, lo riversa nel mondo, ragionando in modo ontico.

Il pronome impersonale “si” significa esser abitato da qualcuno d’altro, dal nessuno che ci detta le regole, che ci distrae da noi stessi e, concentrati sull’ente, limita il nostro sguardo e la possibilità. Questa è la struttura della deiezione e fa parte della cura. Modo inautentico, quindi, modo non proprio.

L’esserci è strutturalmente fuori di sé, rinuncia alla sua proprietà, perché è abitato dal ‘si’.

Fenomenologicamente:  Esserci nella su IN-AUTENTICITA’, IN-PROPRIETA’.

Lo snodo tra la prima e la seconda parte è importante perché descrive la possibilità che l’Esserci sia sé stesso, e si riappropri di sé stesso.

La struttura della cura può essere ripetuta sul PIANO AUTENTICO, nel momento in cui l’ESSERCI si riappropria di sé (ecco perché dicevo che la cura è la chiave per comprendere la struttura intera di Essere e tempo) e comprende la cura (la struttura unitaria della cura) a partire da un orizzonte del Tempo - con le modalità temporali del avanti a sé, esser già in, in quanto esser presso – se lo slanciarsi è il futuro, l’esser già in è il passato, e esser presso è il presente (la deiezione, la dimensione in quanto e perlopiu, come dice H., erroneamente ci muoviamo)

Come avviene questo passaggio dell’Esserci che si riappropria di sé stesso? Avviene quando il primato del presente viene scardinato, quando il ‘si’ viene ricompreso dall’Esserci, l’inautenticità viene fatta propria e questo accade non con un gesto arbitrario dell’esserci, ma grazie a quel che mette in opera una situazione emotiva fondamentale che è quella dell’angoscia, che mette l’Esserci di fronte a sé stesso, di fronte alla propria nullitàe improvvisamente il mondo - cioè l’Ente - NON HA più nulla da dirci.

L’angoscia della nullità del mondo riporta l’Esserci lontano dal ‘si’ lontano dal nessuno che lo abita, e quando è di fronte a sé stesso fa i conti con sé, il proprio futuro che è segnato dalla fine dell’Esserci, cioè dalla morte. Il ‘si’ fa i conti con la morte altrui, vede la morte di altri. Ma quando fa i conti con la propria morte, e si rende conto che è un’esperienza ogni volta mia, non posso morire al posto di un altro, con questa esperienza fondamentale che si svela nella morte, la morte lo singolarizza e lo sottrae al dominio nel si, quando assume questa struttura nella decisione, egli non si comprende più come ENTE presente ma si comprende a partire dal futuro, che è il primato e si comprende come ESSERE TOTALE E TEMPORALE.

L’Essere è Tempo.