Ricerca senza animali, LAV: senza se e senza ma
*di M. Kuan
“Gli animali per adesso servono alla ricerca”, afferma il dott. Remuzzi sul Corriere della Sera in risposta al comunicato LAV che ha contestato la necessità della sperimentazione animale asserita dallo stesso ricercatore nelle scorse settimane.
La fondatezza scientifica della ricerca è il requisito “sine qua non” di questo settore e la sperimentazione animale è un errore metodologico grave sul piano scientifico perché nessun animale può essere modello sperimentale per l’uomo. I test su animali non solo sono estremamente crudeli, ma non sono affatto utili per predire ciò che può accadere all’organismo umano quando questo è esposto ad una sostanza: ciò che risulta innocuo negli animali può essere tossico per l’uomo. Alcuni esempi tra i tanti:
- Penicillina: è un farmaco che ha salvato la vita a milioni di persone e che per puro caso, a detta dello scopritore Fleming, è stata testata su ratti e non su cavie. Infatti, se così fosse stato, sarebbe stata cestinata, visto che sulle cavie risulta altamente tossica; in questo caso il ratto si comporta come l’uomo, ma non è possibile trarne una regola generale.
- Cloroformio (anestetico): i tentativi di estrapolare i risultati dai roditori all’uomo sono falliti.
- Arsenico: la dose che uccide un uomo è innocua per il cane. Gli studi su animali non hanno confermato quanto si riscontra sull’uomo, così ciò che oggi è noto sugli effetti di questo metallo sono dovuti a studi su popolazioni umane.
- Tetracloruro di carbonio: distrugge i reni in molti animali, tra cui alcune specie di scimmie, mentre in altre questo non accade.
- Glicole etilenico (nei liquidi antigelo, ma anche in farmaci e cosmetici): è considerevolmente più tossico nell’uomo che in altre specie animali, la dose letale per l’uomo ha un valore di 1,4; per ratto, cavia e topo varia da 5,5 a 14. I ratti risultano più sensibili dei topi.
- Metanolo: rende cieche le persone, ma nulla di tutto questo è stato osservato negli animali comunemente usati nei test.
A causa della sperimentazione animale, dunque, possono essere cestinate sostanze innocue o utili per la salute umana. Non è possibile stabilire a priori come una sostanza si comporti sull’uomo se non testandola su di lui, infatti tutto ciò che viene sperimentato su animali, passa poi attraverso l’uomo che diventa l’ennesima “cavia” di un sistema di controllo pericoloso e spesso fuorviante, con ingenti interessi economici annessi. Oltre i 4/5 dei farmaci che superano la sperimentazione animale, non superano la sperimentazione umana, quindi meno del 20% sono commercializzati e il 51% dei farmaci commercializzati presentano gravi reazioni avverse che non si erano verificate negli animali. Traendo le conclusioni su 100 sostanze sicure negli animali, almeno 80 sono scartate dopo la sperimentazione umana e 10 ritirate dal commercio per gravi reazioni avverse; ciò significa che in oltre il 90% dei casi i risultati su esseri umani e animali sono significativamente differenti, mentre in meno del 10% dei casi i risultati sono in qualche modo paragonabili, ma lo possiamo sapere solo a posteriori. La ricerca potrà fare consistenti passi in avanti quando anche gli addetti al settore ammetteranno, “senza se e senza ma”, il limite scientifico dei test condotti su animali e si faranno promotori dei metodi alternativi.
Nonostante le evidenze scientifiche di quanto sia infruttuosa e fallimentare la sperimentazione animale, il modello in vivo continua ad essere l’unico modello di riferimento, lasciando i giovani ricercatori e addetti al settore incapaci di fare una scelta oggettiva e rivolgersi a settori in espansione come test in vitro e metodi alternativi; addirittura la Legge 413/93, che da diritto all’obiezione di coscienza, non viene diffusa nelle Università, benché obbligatorio per legge.
Topi e ratti sono utilizzati in gran quantità a scopo sperimentale perché sono animali piccoli, facilmente maneggevoli, prolifici e meno costosi di altri, piuttosto che per ragioni scientifiche, sebbene non siano i roditori i nostri parenti più prossimi per vicinanza genetica e comportamentale.
Quanto alla minore percentuale di topi e ratti impiegati oggi rispetto a 20 anni fa, come afferma il dott. Remuzzi, la realtà è che in Italia e nell’Unione Europea il numero di animali usati per esperimenti è sempre molto elevato: 2,6 milioni di animali in Italia nel triennio 2007-2009, 12 milioni circa nell’UE. Si tratta di numeri ancora troppo alti visto il quadro scientifico e legislativo europeo che prevede la promozione dei metodi alternativi alla sperimentazione animale e la chiara posizione contraria dell’opinione pubblica alla vivisezione. Inoltre, in Italia vi è un grave aumento del ricorso alle scimmie (sia ceboidea che cercopothecoidea), specie regolamentate dal Decreto Legislativo 116/92 in modo fortemente restrittivo e dunque dovrebbe rappresentare una deroga eccezionale e non risultare in aumento. I primati non umani, come i cani, sono utilizzati per esperimenti fortemente invasivi che comportano alti e prolungati livelli di dolore come studi di tossicità e indagini legate a problematiche nervose e mentali umani e cancro.
Gli stabulari – definiti “moderni e confortevoli” dal dott. Remuzzi – non sono hotel a 5 stelle: gli animali che li popolano, quando non sono prelevati in natura, vengono fatti nascere e allevati per finalità sperimentali. Sono costretti a vivere in gabbie e in spazi limitati, in un habitat artificiale e innaturale – un fattore che peraltro può influenzare fortemente la ricerca stessa -, non vedranno mai un albero, un prato né potranno procacciarsi del cibo o stabilire normali relazioni con altri animali. Subiranno invece prelievi e manipolazioni invasive. La soppressione, alla fine della procedura, da un certo punto di vista, sarà per loro una liberazione.
*Michela Kuan, biologa, Responsabile LAV Vivisezione