Questa sera vorrei prima di tutto ringraziarvi. Il racconto della bambina che cantava è stato visto da molte persone e questo fa piacere. Grazie.
Tornando invece a ciò che succede frequentando il corso di scrittura, oggi mi è capitata una cosa strana che ora vi racconto.
Avevo finito i compiti assegnati, Pitch e Racconto, prima di partire per il fine settimana in Abruzzo (per viaggiare sul Treno storico delle Orchidee, esperienza meravigliosa che consiglio) e farmi trovare pronta all'eventuale lettura del lunedì sera ma, purtroppo, e a differenza dei miei compagni, ho scoperto che non mi va di leggere i miei lavori in pubblico. Non me la sento. Vivo una sorta di menefreghismo timido. E quel che è peggio è l’esser disposta a rinunciare al parere e alle correzioni dell’insegnante pur di non esporli personalmente a voce.
Lo so, ora vi starete dicendo: “ma cosa dice? Pubblica già tutto quanto!” Ed è vero, ma qualcosa mi suona profondamente diverso. Provo a spiegare in cosa consiste.
In effetti queste righe indagano e mettono a fuoco qual’è questa mia difficoltà, che forse alla fine abbiamo capito. Uso il plurale perché è il risultato del lavoro di un pool: l’abbiamo capito in gruppo. Quando succede un fatto nuovo, oltre ad elaborarlo personalmente, noi Consulenti di Fiori e amiche ci diamo una mano parlandone su Wapp, identificando l’emozione in gioco e il relativo fiore utile. E’ anche un po' allenamento per noi - Mariella, Sabina, Cristina - che lo facciamo di professione.
Mi servono due Fiori: Water Violet e Mimulus. Water Violet perché il sentimento di fondo è una mancanza d’interesse nel leggere ad altri, collegata alla solitudine, e Mimulus perché provo una certa timidezza e paura. Con i fiori ritroverò un maggior equilibrio di questi due sentimenti.
Quando scrivo un racconto, una poesia, una sceneggiatura, lo faccio in una situazione d’immunità: sono a casa mia, l’ambiente è comodo e familiare. Non so mai se un domani il testo verrà letto da qualcuno; chi lo leggerà, perché lo leggerà, cosa trarrà da ciò che legge non è affar mio. So soltanto che posso scrivere in tutta tranquillità perché il rapporto scrittore-lettore al momento non esiste e questo status mi lascia una certa libertà di espressione. Se e quando lo scritto dovesse uscire allo scoperto – e non è detto che esca! - sarà comunque un rapporto alla pari: la scrittura privata verrà letta da un singolo privatamente, in comodità e solitudine, proprio come quando l'ho scritto.
Scrivere un articolo o un post pubblico è un’identica situazione protetta: il pc e il social fanno da filtro, così come script film e tv hanno a barriera lo schermo davanti allo spettatore. Non è mai un rapporto diretto tra l’autore e l’utente, cioè la persona in carne ed ossa, a meno che non ci si incontri personalmente con l’autore, ma anche in quel caso é solo un frontespizio, una realtà costruita appositamente per quella specifica occasione.
Al corso invece siamo tutti persone in carne ed ossa, addirittura un gruppo di persone, e questi miei compagni di viaggio sono per me degli sconosciuti.
Quando si scrive, se si scrive per davvero, ci si espone sempre un po’ raccontando delle verità ma una protezione è data proprio dal filtro di mezzo, che qui verrebbe invece a mancare. Scoprirsi direttamente leggendo le proprie cose attraverso la postura, i gesti, il tono della voce, le espressioni del viso può essere difficile con persone mai incontrate prima.
Forse per me è troppo presto. Probabilmente non mi fido e c’è anche un’altra ragione.
Quando leggemmo il primissimo compito un uomo raccontò del suo difficile e tormentato rapporto con il fratello, morto in un incidente stradale, al quale lui si rivolgeva per dirgli finalmente quanto non era riuscito quando era in vita. Non conoscendolo (e per come ne parlava) fui portata a pensare che fosse autobiografico, e mi dispiacque tanto per il tormento e la sofferenza che emergeva dal racconto. Ero molto coinvolta. Salvo poi scoprire che era figlio unico e si era trattato di tutt'una finzione. Mi sono sentita così sciocca! L’avrei ammazzato! (si fa per dire) Perdendo i riferimenti ero stata tratta in inganno, arrivando a conclusioni sbagliate, e non volevo più sentirmi così, cioè non sapere se quello che stavo ascoltando era reale, e quindi meritava un ascolto di cuore, oppure poteva essere ascoltato random perché tanto non era la vita vera. Ho perso di spontaneità e fiducia nell’ascolto, e non so se è bene.
Di conseguenza, a scanso di equivoci, e perché ciò che desidero per me lo desidero altrettanto per gli altri, sarò felice se un terzo leggerà i miei lavori dando quel tocco spersonalizzato, distaccato, meglio se recitato - l’ideale per un racconto - restituendomi quel filtro che per ora mi serve. Diciamo che voglio segnare il limite della proprietà, come nei cartelli d’ingresso alla Palude di Shrek: “Beware, Ogre!” Del resto se uno è coraccione - come dice il mio Presidente - quando esce all’esterno un minimo si dovrà pur tutelare sennò si fa male, come é infatti successo. Mi ha risposto “Forse no: cuore chiama cuore”.
Prometto di pensarci, così come penserò al suggerimento di Salvatore “A volte è meglio tuffarsi"... Ma non diamo per scontato che io ci riesca.
Ci sono aspetti di noi che diamo solo agli amici, ai compagni, alle persone di cui ci fidiamo e io devo pensare prima di tutto a me, a mantenere intatto ciò che sono, perché quel che decido di fare o non fare attiene ancora alla sfera del mio modo di essere, a ciò che ritengo di poter reggere mantenendo l'equilibrio ed essendo sempre ben ancorata.
Ci sono cose che possiamo fare, altre no.
V.
"Perché quando sei nella bottega di un pittore quello che osservi non é il quadro finito, ma é il suo modo di lavorare: come mescola i colori, come usa il pennello, come tratta le tele, e come corregge gli errori." Roberto Cotroneo, Il sogno di scrivere