In questi ultimi giorni sono stata estremamente concentrata sulla scrittura.
E’ il rush finale, la volata.
Gli ultimi tre capitoli scritti – 15, 16 e 17 - da ieri finalmente migliorati, erano l’ultimo ostacolo da passare, la collina in salita che ora declina, l’inizio della fine. Lo scritto si avvia alla sua conclusione, lo so e lo sento.
Mancano solo gli ultimi quattro anni alla fine della storia descritta nel romanzo e vorrei aver scritto qualcosa di ampio respiro, che abbracciasse più aspetti e fosse destinato a chiunque. Non un prodotto di nicchia che fornirebbe un preconcetto al lettore, ma qualcosa d’indecifrabile che lasciasse a bocca aperta già dalla copertina e destasse alla lettura della quarta un irrefrenabile desiderio di saperne di più. La immagino già, la copertina.
Sono concentrata come i primi tempi quand'era ancora tutto da fare e verso le dieci di sera, dopo una giornata di lavoro, terminato di cucinare, di mangiare e di lavare i piatti, mi mettevo qui e scrivevo e pensavo fitto per quattro o cinque ore. Nell’ultimo fine settimana, da giovedì a domenica non ho fatto altro. Ho passato più della metà delle giornate seduta nel mio angolo di casa. Oggi ho raccolto i frutti.
Non sono distratta dai compiti giornalieri: lo vedo dalla polvere che si accumula, dagli animali anelanti compagnia, dalle piante reclinanti il capo e le foglie oltre che dagli asciugamani in bagno, finiti. Oggi ho dovuto dare una riacchiappata veloce alla casa perché tutto non degenerasse ulteriormente. Ho anche riempito il frigo, sono passata a far spesa. Peccato per quell’allarme ... ma non l’ho mica fatto apposta! Mi allontanavo con le mie buste per tornare velocemente a casa e continuare a scrivere, e ha cominciato a suonare. Non capivo cosa fosse ma buon per lui: l’avrei portato a casa, lo scanner dei codici a barre del supermercato. Non ho rimpianti neanche per i miei due, anzi, li incoraggio ad andare al Pub per la cena. Non che sia una mia iniziativa il Pub, ma se proprio proprio ci vogliono andare ...
Non sono più i giorni in cui perdevo tempo. Mi preparavo un caffè, macinavo il caffè, poi macinavo anche un po’ di sale, che era finito, e poi mi riprendevo i fiori. La parte più difficile, dove s’impiegavano più energie, dove si aveva bisogno di molto caffè per superare le prove, quello stesso caffè del quale avevo già abusato l’ultima volta e che mi aveva fornito disturbi al pancreas di cui avevo dovuto occuparmi a fondo, non senza sacrifici, era finita. La sfida adesso era rimanere in equilibrio, non farsi male di nuovo e arrivare alla fine.
Essenzialmente è sempre stata paura. Paura e incertezza. Paura di lavorare, di sapere che c’era ancora tanto lavoro da fare e bisognava buttarci tempo e fatica, e pensieri, e sentimenti, senza neanche un'idea di che ne sarebbe stato. Paura di fallire, di non fare qualcosa di bello, di non trovare le parole. Bisognava tenere accesa la speranza. Non era facile. Parlando al telefono con una collega del corso mi raccontava della sua difficoltà di mettersi a scrivere all’inizio e mentre lo raccontava vedevo l’identica reazione che abbiamo noi tutti all’inizio dello scrivere. Tergiversiamo, facciamo una cosa, poi un’altra e un’altra ancora nel tentativo di prendere coraggio, come se stessimo per lanciarci in una caduta da bungee jumping.
Una cosa è certa: questo romanzo è stato scritto grazie all’utilizzo dei Fiori di Bach. Senza di essi probabilmente non ci sarebbe. Ne ho fatto un larghissimo uso, ogni volta, a ogni stop, dubbio, momento di indecisione, voglia di mollare. I mix sempre nuovi precisi per ogni momento hanno permesso al romanzo d'avanzare.
E’ vero che sono stata anche distratta perché oltre alla scrittura c’era la casa, la famiglia, gli impegni. Non era scontato mantenere la concentrazione per tutto. Le energie per tutto. Avevo sempre il pensiero di scrivere ma contestualmente avevo anche il pensiero della bieta regalata dal nonno da pulire, dell’orlo da fare ai pantaloni nuovi, andare a prendere una cassa d'acqua essenziale al Conad (per Dino, la vendono solo lì!), e controllare in rete perché l’Anthurium aveva cominciato a manifestare quelle macchie marroni sulle foglie. A proposito: era colpa mia. Soffre la temperatura troppo fredda dell’acqua; devo lasciarla nell’annaffiatoio affinché diventi “a temperatura ambiente” e solo dopo l’annaffio. E così finiva che scrivevo mentre facevo i lavori manuali e gli appunti dei pensieri li prendevo sul retro del primo foglio a caso, tipo un bollettino di consegna del collo portato dal corriere, mentre affettavo l’aglio rosso di Barrea perché ormai era mezzogiorno, avevo fame, e mi era venuta voglia di tofu all’aglio e zenzero.
E' bello ripensarci. Che bel viaggio è stato. Il viaggio dell'Eroe me lo godo ancora un po’.
Voi però state qua, con me.
V.