Simone Weil e Joe Boousquet si conoscono grazie all'editore Ballard di Marsiglia per i quali entrambi collaboravano a un progetto sulla civiltà occitana.
Nei giorni precedenti la Pasqua di quell'anno Simone vorrebbe assistere alle funzioni religiose presso un'abbazia, e sulla strada per raggiungerla fanno una sosta a Carcassonne, nella casa di Joe Bousquet, scrittore e poeta, grande invalido civile della prima guerra. Tra i due nasce un'amicizia, e una corrispondenza significativa.
A breve lei accompagnerà i genitori negli Stati Uniti, ma vorrà tornare a Londra dove si unirà a France Combattante, addetta a progetti per la ricostruzione del dopoguerra, ma con il desiderio di prendere parte attiva al progetto infermiere di prima linea.
13 aprile 1942 Nella prima lettera inviata a Joë Bousquet Simone Weil dichiara di conoscerlo da soli 15 giorni, ma pensa che incontrarlo sia stato per lei prezioso.
Gli sta inviando il terzo atto e lo schema del resto della tragedia Venise sauvée* che ha scritto: vorrebbe un parere di Joe, e lo aspetta con impazienza, dato che sta per partire. Chiede di conservarlo insieme alle poesie se lei dovesse morire; vorrebbe fare il necessario alla loro conservazione: ha considerato un dono l’attenzione che Joe aveva dedicato ai suoi scritti (“l’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità”).
Ritiene che solo a pochi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono, e lei ne desidera una piena rivelazione prima di morire, sin da quando era piccola; vede in Joe uno stesso orientamento alla scoperta. E’ ammirata dalla sua persona e gli parla di Padre Perrin, un domenicano marsigliese quasi completamente cieco, l’altra persona che lei trova ugualmente eccezionale: vorrebbe si incontrassero.
La scoperta di cui parla è la possibilità degli esseri predestinati, di poter domandare e guarire i tormenti altrui. Ma prima di questo i predestinati devono aver passato la sventura loro stessi. Una grande sventura (anni di notte oscura, lontano da ciò che ama, nella consapevolezza della propria maledizione)
Pensa che le cattive azioni mettano un velo alla realtà delle cose, e gli uomini non le commetterebbero mai sapendo che esistono COSE ed ESSERI. Sapere della loro esistenza induce alla perfezione, ma anche infinitamente lontani dall’essere perfetti è sufficiente essere orientati verso la perfezione. Aver presentimento di questa cognizione è una cosa rarissima, la ritiene ‘grandezza’. Vede Weil questo desiderio in Joe, ed è orientamento che consente di avanzare con uno sguardo sempre fisso alla direzione intrapresa. E’ Felice e libero dal male chi va in questa direzione, gli altri si agitano del sonno. La sventura non è un male e quand’anche si sente abbandonato da Dio e dagli uomini, viene preservato dal male. Basta desiderarlo per essere parte ma questo desiderio puro è raro: la maggioranza convinta di averlo non l’ha. Promette di inviargli alcuni versi dei poeti greci e un nuovo testamento in greco. Si offre in aiuto per far venire da Marsiglia un farmaco di cui Joe necessita, e o prega di credere nella Sua amicizia.
* La tragedia Venise sauvée era ispirata a racconto storico: La congiura degli spagnoli contro la repubblica di Venezia. (la congiura di Bedmar) Inizia a scriverla nel 1940 quando la famiglia Weil lascia Parigi; gli eventi la costringeranno a interromperla e la riprenderà a Londra, negli ultimi mesi di vita. Riteneva la tragedia antica in grado di trasmettere il suo pensiero morale, politico, sociale, religioso, estetico, indirizzato a quel punto ‘sacro’ presente in ogni persona. In questa tradizione, per lei, l’eroe è perfetto. Nel 1942 parla a Gustave Thibon della Tragedia e dei suoi Quaderni dicendo che ne sarà proprietario se le dovesse accadere qualcosa, e che solo Joe e padre Perrin (la sua guida spirituale) sono eventualmente autorizzati ad averli. Il nesso tra la tragedia incompiuta e il progetto delle infermiere è insondabile. Quando scrive del progetto di infermiere a Maurice Shumann (suo compagno di studi, ora esponente politico importante) allega la lettera di approvazione di Joe. Weil scriverà di nuovo a Maurice poco prima di morire, parlando della “sua lacerazione tra ‘intelligenza e cuore’ (la mente e il cuore) perché era incapace di pensare nella verità la sventura degli uomini e la perfezione di Dio, e il legame tra le due. "Ho la certezza interiore che questa verità, semmai mi venisse accordata, lo sarà solo al momento in cui sarò io stessa fisicamente nella sventura.” (provando su di sé, come esperienza personale, la sventura, forse la verità le si sarebbe aperta)
Congiura di Bedmar - Agli inizi del XVII secolo c'era un forte astio tra il regno di Spagna e la Repubblica veneziana. In particolare, gli iberici desideravano imporre il controllo sull'Adriatico e sulle ricche rotte mercantili verso Oriente. Attorno al 1616/1617, il viceré spagnolo, Pedro Téllez Girón, duca di Osuna (1579–1624), uomo noto per i suoi intrighi, e desideroso di vittorie sensazionali per ovviare alla sua scarsa azione di governo nelle province dell'Italia meridionale, iniziò a ordire un complotto per abbattere la Repubblica e tornare nei favori del re Filippo III di Spagna. Mentre a Venezia il marchese di Bedmar, ambasciatore sin dal 1607, aveva creato una vasta rete di spionaggio che poteva venir a conoscenza di quasi tutto. Il viceré inviò un francese, Nicolò Renault, assieme a complici, ad arruolarsi nella flotta veneziana e iniziò a corrompere suoi connazionali combattevano sotto le insegne della Repubblica: il marchese di Bedmar nel mentre otteneva la neutralità e l'appoggio, degli ambasciatori di Inghilterra e Francia. Il piano prevedeva un attacco dal mare da parte della flotta spagnola, mentre i rivoltosi, invece d’aiutare nella difesa, avrebbero creato confusione in città. Secondo lo storico Giuseppe Tassini, già nel novembre 1617 e nel marzo 1618 si tentò per due volte di metter in atto, ma vi furono inconvenienti tali per cui si dovette rinviare. Il ritardo influì negativamente sulla congiura: una lettera anonima avvertì il governo veneziano, già insospettito. Renault tentò di convincere un nobile francese, Baldassarre Juven, a unirsi a lui, ma quest'ultimo corse a denunciarlo al governo. Renault venne arrestato e, reo confesso, lui e altri complici furono giustiziati. Il fallimento della congiura portò a un'ondata d'arresti che spazzò via la rete tanto laboriosamente creata dal Bedmar che, vero capo della congiura, o più probabilmente capro espiatorio, fu richiamato in patria. Nel periodo 1618–1622, moltissime persone vennero arrestate e messe a morte, e solo il caso di Antonio Foscarini, nobile giustiziato ingiustamente il 21 aprile 1622, convinse le autorità veneziane a cessare la repressione che, in ogni caso, aveva ottenuto il suo effetto. Il viceré Ossuna, in seguito al fallimento della congiura, fu costretto a tornare in Spagna dove, arrestato, morì nel 1624 in disgrazia.