" In ogni caso, come le dicevo, i miei parenti hanno sempre parlato con gli animali e ci si sono sempre intesi quasi meglio che con i cristiani. Mio nonno faceva il carrettiere da giovane e il suo cavallo era per lui un fratello. Non le dico i cani da caccia, che tutti i miei zii hanno sempre trattati come figli. Le vacche poi, sono state il vero amore nostro. Non c’è un Peruzzi che non abbia amato più le sue bestie che le sue mogli. O almeno le bestie gli hanno sempre obbedito più delle mogli e non c’è una bestia sola che ci abbia mai risposto come rispondevano queste. Mai una moglie che ad un certo punto ci sia riuscito di far tacere e far restare zitta. Niente da fare. Sempre a noi tocca. Sono loro le vere bestie nostre, mentre quelle altre bastava che i miei zii le chiamassero e subito rispondevano...
Ognuna aveva il nome suo, e non solo da noi, ma in tutte le stalle era così. Le nostre avevano nomi di città. Non so come sia nata quest’abitudine; forse qualcuno all’inizio quando è arrivata la prima bestia era ancora fresco di militare e aveva girato come si suole dire il mondo, e ha cominciato a mettere i nomi delle città che aveva visto. E qui nomi sono rimasti – di vacca in vacca e di stalla in stalla per tutte le stalle che abbiamo avuto, esattamente come certe famiglie nobili si tramandano i nomi di Francesco, Emanuele, Vittorio e Figliòlditroia di generazione in generazione – fino all’altro giorno, fino a che abbiamo avuto le vacche. E fin che abbiamo avuto vacche e stalle, ci sono sempre stati nelle stalle dei Peruzzi almeno un bue o un toro che si chiamassero San Pietroburgo, o una vacca o vitella Mosca, e ancora mi ricordo queand’ero bambino mio zio Iseo che all’ora di mungerle nel recinto – con loro libere al pascolo – si portava secchi e treppiede sotto la staccionata e si metteva a chiamare: “Venessiaaaa!”, e quella ciondoloni ciondoloni arrivava e gli si fermava di fianco, senza manco fargli spostare lo sgabello, direttamente con le tette sopra il secchio. Zio Iseo le massaggiava un po’ i capezzoli – se erano sporchi li lavava pure – e poi cominciava a mungere a croce, due alla volta, prima uno e poi l’altro. E se il secchio era vuoto si sentiva il rumore del getto – “Fìsssssc … Fìssssc …” del primo latte sul fondo d’alluminio. Zio Iseo era capace di fare getti lunghissimi e quand’ero piccolo, ogni tanto, voltando all’improvviso il capezzolo mi schizzava tutta la faccia – “Bevi, macaco!” – mentre io stavo li a fianco a guardarlo estasiato. Era il mio preferito, Zio Iseo. E il macaco dovesa essere – diceva lui – la scimmia più stupida che ci fosse in Africa. Finito con la Venezia, le dava una pacca sul fianco, lei si scostava e lui richiamava: “Torinooo”, “Fìrenseee”, “Milanooo”, finché non erano venute tutte. Si figuri se per noi era una novità che qualcuno parlasse con gli animali, non avevamo fatto altro in vista nostra, si può dire (…)
Tratto da Canale Mussolini, Antonio Pennacchi
A prima vista, forse, qualche collega animalista non apprezzerà il brano sopracitato, che non vuole essere un'offesa per nessuno né una propaganda per l'allevamento o il bere più latte, cosa che io notoriamente disapprovo per le ragioni conosciute e di cui parlo spesso qui in negozio. Ho però trovato interessante ricordare com'era diverso negli anni addietro il rapporto dei contadini e degli allevatori poveri, di ogni dove, con gli animali. Le mucche non venivano rinchiuse ma lasciate libere al pascolo, con i loro vitelli, e a quelle che avevano partorito veniva si preso un po' di latte - un po', non tutto - ma munto a mano (evitando il disagio e il dolore delle mastiti da mungitore automatico) e solo per ricavarne alimenti ad uso personale e qualche, poca, pochissima lira. Animali e uomini vivevamo dividendo gli stessi spazi ed era un rapporto completamente diverso da quello odierno. Il racconto mi ha ricordato la stalla di mio nonno - un cavallo, due mucche, due maiali - riscaldata d'inverno con la stufa a legna, che la rendeva ancora più calda della stanza a fianco dove loro stessi abitavano; per non parlare della stanza da letto, senza riscaldamento, che riceveva calore dalla stalla poiché era posizionata proprio sopra.