In questo mondo che passa, e passando consuma ogni cosa; in questo mondo che ora fa gioire per il semplice fatto di esserci, ora gemere di rabbia e di dolore come schiavi alla catena; in questo mondo teatro dell'essere e del nulla, libera scelta e cieco destino, allegria della mente e disperazione dell'anima; in questo mondo di fantasmi e di poesia, io non conosco nulla di più grande del bene.
Se c'è una dimensione nella quale é possibile non dico superare, dico per lo meno sopportare, il fluire inesorabile di esseri viventi che nascono e muoiono, tutti necessariamente incatenati alla brama di cibo e di orgasmo e di un posto sul palcoscenico per poter essere qualcuno e ricever così la propria dose di applausi e di denaro, questa dimensione, sola possibile liberazione dai morsi della triplice catena, é il bene. Chi fa il bene si libera, almeno per un po', dalla catena alimentare, sessuale, sociale; chi no, no. Rimane servo.
Volendo sintetizzare in una formula l'unica possibile liberazione, parlo di Bontà dell'intelligenza. Raramente le due cose si ritrovano insieme, spesso si hanno uomini buoni ma poco intelligenti, per cui non sai se la loro bontà non sia altro che debolezza, come pensava Nietsche; oppure uomini dotati di intelligenza ma senza il minimo scrupolo di farne uso per asservire, talora umiliare, e che rabbrividiscono alla sola idea di poter passare per buoni. Di contro io ritengo che la bontà che desidera la luce dell'intelligenza e l'intelligenza che desideri il calore del bene, l'unione di queste due dimensioni in ciò che chiamo Bontà dell'intelligenza sia il vertice sommo a cui la vita di un essere umano possa arrivare.
Ho incontrato uomini e donne così, ne parlo per esperienza personale, ho potuto toccare con mano la grazia che li pervadeva, mentre sentivo risuonare dentro di me il versetto del salmo: "per i santi che sono sulla terra, uomini nobili, é tutto il mio amore" (Salmo 16,3 nella versione CEI 1974; la traduzione è completamente modificata nella versione CEI 2008: "Agli idoli del paese, agli dèi potenti andava tutto il mio favore").
Del bene e della sua intelligenza il cristianesimo é teoria e pratica. Non é l'unica religione né l'unica filosofia ad esserlo, ma il cristianesimo é la mia, e per questo io l'amo, lo studio e ne scrivo. (...) nella sua essenza é filosofia dell'amore, testimonianza che il senso della libertà é compiersi come amore. (...)
Avverto però un disagio crescente nel vedere la mia chiesa poco all'altezza di questo sublime messaggio fondativo, poco capace di far risplendere il vero cristianesimo, per il cui annuncio e la cui pratica essa venne istituita. (...)
A tal fine sono convinto che non bisogna aver timore di far emergere i problemi per quel che sono, nella loro preoccupante realtà, causata da secoli di sangue e di menzogne, di mercanti e di cortigiani, di potere e di spada. (...) Secoli di storia della chiesa dominati per lo più dalla logica del potere presentano oggi all'intelligenza cattolica un conto molto salato, accatastando, accanto ai più sublimi concetti e a un'interrotta sequenza di santità, un varigato miscuglio di dogmi, ipocrisie, precetti, tatticismi. (...)
C'é infatti un tragico paradosso in cui si dibatte la coscienza cattolica: l'ISTITUZIONE per merito della quale ancora oggi nel mondo continua a risuonare il messaggio di liberazione di Gesù, E' GOVERNATA NEL SUO VERTICE da una logica che rispecchia proprio quel POTERE contro cui Gesù lottò sino ad essere ucciso. (...) Con questo libro e con il mio lavoro teologico vorrei contribuire a far crescere la fedeltà dei cattolici alla volontà originaria del maestro, secondo una spiritualità sempre più evangelica e sempre meno ecclesiastica.
Tratto dal libro Obbedienza e Libertà, di Vito Mancuso.