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di Valeria Ballarati

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TESI 2.2 L'indifendibile Europa

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Nel suo saggio sul colonialismo Aimé Césaire[1], poeta e politico della Martinica, uno dei fondatori del movimento Négritude[2], sostiene che l’Europa colonizzatrice è indifendibile e vale la pena studiare in dettaglio l’hitlerismo per far emergere rivelazioni fondamentali:

“(…) rivelare al borghese distinto, umanista, cristiano del XX secolo, che anch’egli porta dentro di sé un Hitler nascosto, rimosso; ovvero (…) ciò che non perdona a Hitler non è il crimine in sé, non è il crimine contro l’uomo, non è l’umiliazione dell’uomo in quanto tale, ma il crimine contro l’uomo bianco, l’umiliazione dell’uomo bianco, il fatto di aver applicato in Europa quei trattamenti tipicamente coloniali che sino ad allora erano stati prerogativa esclusiva degli arabi d’Algeria, dei Coolie dell’India e dei negri dell’Africa.”[3]

Césaire parla di uno pseudo-umanesimo, di una visione ristretta ed esclusiva dell’uomo, tutto sommato sempre razzista. Quando nel 1939 la Francia stupita e indignata[4] pensava “Com’è strano il nazismo!” - a differenza di Weil che ne aveva capito le origini – s’attendeva semplicemente di uscirne, nascondendo a sé stessa la verità, e cioè che l’esser posta di fronte alla barbarie, una barbarie suprema, coronava e riassumeva la quotidianità di tutte le barbarie sino a lì perpetrate al di là del mare. Prima di esserne vittime gli uomini erano stati complici del nazismo; prima di subirlo lo avevano sostenuto, e assolto, e legittimato, chiudendo gli occhi e il cuore, perché sino a quel momento “l’hitlerismo” era stato esercitato sulle popolazioni non europee. La tesi del Césaire combacia con la tesi del Poema dell’Iliade di Weil, ed egli prosegue nel suo saggio scrivendo che nessuna colonizzazione è mai innocente:

“Ogni nazione colonialista, ogni civiltà che giustifica la colonizzazione – e dunque l’uso della forza – è da ritenersi una civiltà malata, una civiltà moralmente compromessa che, di conseguenza, continuando a rinnegarsi, richiama il suo Hitler, cioè il proprio castigo.”[5]

Non per cupo divertimento ricorda nelle sue pagine alcuni dettagli di orrende mattanze; lo fa per avvertire che non è possibile sbarazzarsi impunemente delle teste mozzate, dei barili di orecchie umane, delle case e villaggi invasi e bruciati: il sangue versato nei luoghi che svaniscono sotto i colpi della spada della colonizzazione disumanizza anche l’uomo più civilizzato, e l’impresa coloniale – una conquista fondata sul disprezzo dell’uomo indigeno, giustificata proprio da questo disprezzo - tende inevitabilmente a modificare anche chi la intraprende, perciò Césaire parla di “civiltà malata”. Al contrario, quanti riescono a mantenersi sul versante umano conservando intatta la caratteristica prima degli umani, l’umanità, non potrebbero infatti sopportare la vista dell’orrore, e nemmeno riuscirebbero a rimanere indifferenti rispetto al solo leggere dell’orrore su individui inermi, come era stato per la giovane Weil, quando leggendo l’inchiesta di Roubaud sugli ammaniti de Le Petit Parisien era scoppiata in lacrime:

“Des larmes de honte m’étouffaient, je ne pouvais plus manger.”[6]

L’empatia, la caratteristica più bella degli esseri umani perché permette di comprendersi e portare aiuto ad altri in difficoltà, è presente e vigile solo quando si è in equilibrio. Va da sé che chi è capace di chiudere gli occhi o far finta di non vedere di fronte all’orrido, può solo essere in forte disequilibrio, e solo così riesce a mantenersi indifferente di fronte all’ingiustizia: il male è possibile e si realizza solo in presenza di coscienze anestetizzate. Certo, per giustificarsi gli individui sbilanciati invocano elementi di “buona coscienza” esterni a loro stessi come vedere nell’altro il pericolo, ubbidire agli ordini, sino ad arrivare a considerare l’altro al pari di una “bestia”[7] come nel colonialismo, riservando perciò trattamenti indifferenti, identici a quelli dei consoli romani verso i melii piangenti. Il problema è che nell’indifferenza siamo tutti indifesi, come scrive ancora Rita Fulco:

“L’abissale colpa dell’Occidente consiste nell’aver perduto la consapevolezza che la forza, la violenza – anche quella dell’indifferenza – rende tutti vulnerabili, anche se in tempi diversi, come ben mostra l’Iliade, dove tutti i protagonisti, da Ettore ad Achille e Priamo vi si troveranno esposti, per quanto ciascuno in forme differenti.”[8]

Il buio dell’anima che rende disumani è un pericolo reale in ogni epoca, perché fingere di non vedere in presenza del male può certamente portare alla morte altrui, ma alla lunga anche alla morte propria, la morte di sé. L’indifferenza, riducendo chi è “diverso” a una cosa tra le cose, lo trasforma in invisibile, rende le sue parole inascoltate, meno importanti delle proprie.  Le radici dell’indifferenza possono essere molteplici ma risiedono di base nei comportamenti aventi a che fare con una mancanza di gioia di vivere, la quale depotenzia e umilia il senso stesso dell’esistenza, che è essenzialmente vitale.

La missione civilizzatrice europea, anziché elevare il mondo non occidentale aveva reso gli stessi colonizzatori artefici della de-civilizzazione di loro stessi e conseguentemente dei colonizzati. Scrive Simone Weil:

“un uomo non può giudicare un’azione, a qualunque data essa risalga, secondo una concezione della virtù diversa da quella che serve come criterio per le proprie azioni. Se io oggi ammiro o anche giustifico un atto di brutalità commesso duemila anni fa, vengo meno, oggi, nel mio pensiero, alla virtù di umanità. L’uomo non è fatto a compartimenti ed è impossibile ammirare certi metodi impiegati un tempo senza far nascere in sé stessi una inclinazione a imitarli non appena l’occasione renderà facile tale imitazione.”[9]

In particolare per la Francia c'era un abisso tra il mito sostenuto dalla Repubblica e la realtà che la filosofa aveva scoperto precocemente, per lei motivo di grande vergogna.[10] Una nazione non aveva il diritto di possedere il corpo e l’anima di altre persone, e la Francia attraverso la colonizzazione aveva violato i principi contenuti nella sua rivoluzionaria Dichiarazione dei diritti dell’uomo[11]. Come scrive J.P. Little nell'articolo Perspectives sur le colonialisme à travers l’enracinement de Simone Weil:

“Elle sentait très vivement la contradiction entre les principes fondateurs de la République: la liberté, l’égalité, la fraternité auxquelles les Français aspiraient chez eux, et les conditions imposées aux peuples colonisé, par le fait même de la colonization. N’y a-t’il-pas contradiction en parlant de la Republique coloniale?” [12]

La colonizzazione assumeva dunque le sue vere sembianze: non era mai stato un movimento benevolo con l’obiettivo di migliorare la vita dei colonizzati, ma una folle corsa ad accaparrarsi quanti più territori e materie prime possibili, come già avvenuto nell’iniziale Scramble for Africa. Weil aveva operato un ulteriore sforzo critico avendo compreso che la storia non si svolgeva solo attraverso il racconto documentato dei vincitori ma era importante analizzare anche la versione dei vinti, di solito non ascoltati.

“A maggior ragione bisogna leggere tra le righe dei documenti, ricondursi completamente, con intera dimenticanza di se stessi, agi avvenimenti evocati, trattenere a lungo l’attenzione sulle piccole cose significative ed estrarne tutto il senso possibile. Ma il rispetto del documento e lo spirito professionale dello storico non dispongono il pensiero a questo tipo di esercizio. Lo spirito cosiddetto storico non penetra la carta per trovare la carne e il sangue. Esso consiste in una subordinazione del pensiero al documento. Ora, per la natura delle cose, i documenti provengono dai potenti, dai vincitori. Così la storia non è altro che una compilazione delle deposizioni fatte dagli assassini circa le loro vittime e se stessi.” [13]

La filosofa aveva proseguito la sua analisi ritenendo la religione non esente da colpe. C’era stato nelle colonie un uso strumentale della religione: la colonizzazione era stata vista come “un ambiente favorevole alle missioni”, un mezzo per diffondere il messaggio cristiano, insomma per fare proseliti. Ma Weil non concordava con quest’uso propagandistico del cattolicesimo dal momento che i popoli avevano già la loro religione e spiritualità; inoltre in nessun passo biblico evangelico era stato richiesto di invadere e distruggere altri popoli per convertirli.[14] Del resto aveva già evidenziato questo carattere conquistatore della religione negli scritti sulla civiltà d’Oc, parte di un progetto voluto da Jean Ballard, fondatore della rivista Les Cahiers du Sud[15] a cui aveva partecipato negli anni in cui era sfollata a Marsiglia, durante la Francia del Maresciallo Pétain. Nel numero dal titolo Le Génie d’Oc et l’homme méditerranéen[16], Weil aveva reso di nuovo visibile una civiltà dal passato luminoso, da secoli emarginata; nella sua idea c’era stata una continuità tra le grandi civiltà mediterranee dell’antichità e il rinascimento romanico, ma la crociata albigése o crociata catara voluta da Papa Innocenzo III[17] era stata la svolta decisiva per la storia dell’Occidente, le cui conseguenze erano sfociate poi negli orrori della guerra. La distruzione agli inizi del XIII sec. della civiltà provenzale dalle radici spirituali non fu solo l’eliminazione violenta di una civiltà “avvenuta troppo presto per sapere cosa ne sarebbe stato in futuro”, ma come ella scriveva:

“[fu] una scelta negativa da parte di chi volle la crociata, poiché per salvaguardare l’unità della dottrina non si ebbe scrupolo a colpire una civiltà, l’ultima nella nostra storia ispirata a valori rigorosamente trascendenti: la libertà, l’obbedienza, l’amore, la parità reale (parage) tra gli uomini, al di là delle stesse divergenze confessionali.”[18]

La scelta prevista dalla politica ecclesiastica portava infatti a compimento il progetto gregoriano di una Chiesa centralizzata, in grado di svolgere una egemonia spirituale; non stupisce quindi che un identico, antico atteggiamento, fu portato avanti nelle colonie mediante gli ordini religiosi missionari: per un cattolico il senso ultimo del colonialismo era la diffusione della “vera” fede, che ai suoi occhi costituiva la base irrinunciabile della civiltà. Fu proprio con la crociata albigese che secondo Weil si forma una frattura nelle coscienze, e inizia un altro modello di società ben diverso da quello provenzale, che appunto apriva la via al centralismo, al nazionalismo, al totalitarismo e allo spirito di parte ideologicamente motivato. Un danno inestimabile, l’inizio della contrapposizione.

“Fu una frattura nelle coscienze, e di conseguenza, una frattura linguaggio: all’unita di linguaggio (la «patria») che è circolazione di idee nella ricerca di forme di vita sociale e spirituale più alte, si sostituiscono linguaggi univoci e contrapposti.”[19]

La tendenza cristiana ritrovata nelle colonie era dunque un atteggiamento anti-cristiano, un mezzo per avere anche le anime insieme ai corpi, e per questa ragione al poeta Césaire non sfugge né la menzogna, né la frattura rilevata dalla filosofa:

“Tuttavia, gli impostori sono venuti dopo. In questo ambito, il grande responsabile è stata la pedanteria cristiana, perché ha posto delle equazioni del tutto disoneste: cristianesimo=civiltà; pagani=selvaggi. Era chiaro che queste premesse non potevano che sfociare nelle conseguenze abominevoli del colonialismo e del razzismo, le cui vittime dovevano essere gli Indiani, i Gialli, e i Negri.”[20]

Tra la colonizzazione e la civiltà c’era una distanza infinita.

Nel testo del 1943 A proposito della questione coloniale nei suoi rapporti con il destino del popolo francese[21], Weil scrive che il male che la Germania avrebbe fatto all’Europa se l’Inghilterra non avesse impedito la vittoria tedesca, sarebbe stato identico al male della colonizzazione, ovvero lo sradicamento; pertanto il problema non era distruggere la Germania in quanto potenza pericolosa, quanto pensare a una ricostruzione che togliesse l’autorità dello Stato sugli individui, in modo da evitare una volta per tutte la possibilità dell’emergere di nuove potenze aggressive. Mi sembra di poter dire che non stiamo ancora andando nella direzione indicata da Weil: il processo di decentralizzazione sull’uomo non è nemmeno cominciato e anzi, con l’avvento delle nuove tecnologie, siamo sempre più legati a meccanismi burocratico-tecnologici ad ogni livello della vita, basti pensare all’indispensabile identificativo Spid o Cie per collegarsi al proprio profilo da studente universitario, una procedura “comoda e sicura”, due parole che andrebbero meglio analizzate, come Weil avrebbe raccomandato. Ma torniamo al colonialismo.

La filosofa riassume a questo punto perché la colonizzazione non fa parte della tradizione francese e s’è compiuta fuori dalla vita del popolo. La campagna d’Algeria era stata una questione di prestigio dinastico e un provvedimento di polizia; Tunisia e Marocco acquisizioni istintive, cioè semplici allargamenti di territorio; la conquista dell’Indocina una reazione di rivalsa all’umiliazione subita nel 1870 dalla Prussia[22]; le isole dell’Oceania prese per caso durante la navigazione, in virtù di singole iniziative di ufficiali e solo la colonizzazione dell’Africa nera aveva destato l’interesse pubblico.

“Era anche la più giustificabile, considerato lo stato di quello sfortunato continente, di cui si ignora quasi interamente la storia, ma in cui i Bianchi, da quattro secoli, avevano in ogni caso causato tutte le devastazioni possibili, con le loro armi da fuoco e il loro commercio di schiavi. Ciò non toglie che vi sia un problema non risolto nell’Africa nera. (…) Questo problema riguarda al di fuori del popolo francese, il mondo intero, e prima di tutto le popolazioni assoggettate.”[23]

Nell’intervista pubblicata sul sito web Attention.org attraverso le sue esperienze presso il Voluntary Service nel Ghana, due anni di insegnamento in Sierra Leone, un periodo di ricerca in Senegal, e infine per una ONG in India, Janet Patricia Little[24], concorda con Weil giunta alla conclusione che non può esistere una colonizzazione “buona”, avendo lei stessa visto di persona sul posto cosa significa lo sradicamento, e infatti scrive:

“Simone Weil saw with horror and dismay – at a distance – the brutality of practices in force in the 1930s, in Indochina, the necessary uprooting through colonization of indigenous peoples in vast areas of the globe, and came to the conclusion that “the uprooted uproot.” She devoted most of the latter years of her short life militating for an end to barbarous practices, but also for a structural way forward that would put an end to the hierarchical relationship between peoples. For her, this passed necessarily through a true comprehension of the fundamental unity of all peoples in their relation to goodness, the simple answer to the question “Why am I being harmed?” This aspiration towards goodness could not be recognized if people were subjected to a hierarchy of colonized and colonizer.”[25]

Il colonialismo aveva sradicato ogni popolo con cui era venuta in contatto. Come era potuto succedere? I francesi, che in patria non si sarebbero mai sognati di adottare simili comportamenti, avevano finito per trovare normale che altri esseri umani venissero trattati in quel modo. Weil riteneva infatti che “lo sradicamento è di gran lunga la più pericolosa delle malattie umane, perché si moltiplica da sola”[26] e infatti «Chi è sradicato, sradica. Chi è radicato non sradica».[27] Approfondiamo l’argomento nel capitolo successivo.



[1] Aimé Césaire (Martinica 1913-2008) poeta, drammaturgo, leader politico martinicano di lingua francese. Personalità tra le più importanti dell’anticolonialismo, autore di riferimento degli attuali studi postcoloniali.

[2] Negritudine (franc. négritude) è stato un movimento filosofico, culturale e letterario del mondo nero francofono negli anni ’30 che esaltava l’unicità e l’essenza della natura e spiritualità africane (o negre) per rivendicarne dignità e il valore rispetto alla cultura occidentale. Elaborato a seguito alla presa di coscienza del fallimento dell’assimilazione coloniale francese, i principali animatori furono gli intellettuali francofoni L. Senghor e A. Césaire.

[3] Aimé Césaire, Discorso sul colonialismo, trad. it. di Lanfranco di Genio, Ombre corte (2020), p. 57.

[4] Cfr. S. Weil, La prima radice, traduzioni di Franco Fortini, SE, Milano, (1990), in particolare a p. 53 si legge: “se la Francia ha offerto uno spettacolo più doloroso di qualsiasi altro paese d’Europa è stato perché la civiltà moderna, con i suoi veleni, vi si era installata prima che altrove, meno che in Germania. Ma mentre la Germania lo sradicamento aveva assunto una forma aggressiva, in Francia si manifestava con letargia e stupore.”

[5] Ivi, p. 61

[6] Simone Weil, Oeuvres completes, tomo II/3, Ecrits historiqus et politiques. 3. Vers la guerre, a cura di S. Fraisse, 1989, p.121.

[7] Personalmente non sono d’accordo sull’accezione negativa di solito assegnata al termine “bestia”: gli animali in Natura non mostrano istinti di tradimento e azione violenta all’unico scopo di causare dolore, accumulare beni, o sopraffare gratuitamente, come invece è stato qui rappresentato nei comportamenti di alcuni esseri umani. Carl Safina, biologo statunitense, autore di libri sugli animali non umani dice: “Many people think that empathy is a special emotion only humans show. But many animals express empathy for each other."   https://www.nationalgeographic.com/animals/article/150714-animal-dog-thinking-feelings-brain-science

[8] Rita Fulco, “Potere, violenza, governo della città”, Abitare la vita, abitare la storia. A proposito di Simone Weil, cit., p. 53.

[9] S. Weil, “Riflessioni sulle origini dell’hitlerismo (1939)”, in Sulla Germania Totalitaria, cit. p. 267.

[10] Cfr. S. Weil, “Lettera agli Indocinesi” in La colonizzazione e il destino dell’Europa, cit., in particolare a p. 25 Weil scriveva: “E’ con dolore e vergogna che io, giovane francese che non ha mai lasciato l’Europa, mi rivolgo tramite questo giornale agli Indocinesi. Questo dolore, questa vergogna risalgono a diverso tempo fa. Più di cinque anni. Da più di cinque anni non hanno smesso di pesarmi sul cuore.”

[11] Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen de 1789. Article 1er: Les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droits. Les distinctions sociales ne peuvent être fondées que sur l'utilité commune. Article 2: Le but de toute association politique est la conservation des droits naturels et imprescriptibles de l'homme. Ces droits sont la liberté, la propriété, la sûreté, et la résistance à l'oppression. Article 3: Le principe de toute souveraineté réside essentiellement dans la nation. Nul corps, nul individu ne peut exercer d'autorité qui n'en émane expressément.

[12] J.P. Little, “Perspectives sur le colonialisme à travers l’enracinement de Simone Weil”, in Mémoires d’Indochine, «Indomemoires» (2015) https://indomemoires.hypotheses.org/16925

[13] S. Weil, La prima radice, cit., pp. 202-203.

[14] Cfr. S. Weil, Sul colonialismo, La questione coloniale e il destino del popolo francese, Medusa, Milano, (2021), a p. 47 Weil approfondiva la sua idea scrivendo: “affrontare la questione se un indù, un buddista, un mussulmano o uno di quelli che sono chiamati pagani non possieda già nella propria tradizione un percorso verso la spiritualità che gli propongono le chiese cristiane, e in ogni caso il Cristo non ha mai detto che le navi da guerra devono accompagnare, anche da lontano, coloro che annunciano la buona novella.”

[15] À l'origine, la revue en s'appellant «Fortunio» en 1925 fut renommée «les Cahiers du Sud» et prise en main par Jean Ballard. Ce fut une grande revue à la fois littéraire et d'études, faisant appel à des écrivains et intellectuels confirmés ou montants. https://www.universalis.fr/encyclopedie/cahiers-du-sud-revue/

[16] Cahiers du Sud, rivista n. 249, Numero speciale agosto-settembre-ottobre, 1942 https://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k16512690/f3.item

[17] La campagna militare di Papa Innocenzo III era destinata ad estirpare i catari dalla regione della Linguadoca nel sud della Francia, dove la dottrina religiosa aveva particolarmente preso piede grazie alla simpatia dei locali Signori di Provenza e del Conte di Tolosa; i catari (dal greco "puro") predicavano nei villaggi, ricevevano lasciti, dirigevano conventi e ciò infastidiva la chiesa romana, che li considerava eretici.

[18] Giancarlo Gaeta, Leggere Simone Weil, cit., p. 156.

[19] Ibidem

[20] Aimé Césaire, Discorso sul colonialismo, cit., p. 55

[21] S. Weil, “La questione coloniale e i suoi rapporti con il destino del popolo francese”, in Una costituente per l’Europa, Scritti londinesi, tr. it. di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, Castelvecchi, Roma, (2019), p. 145.

[22] Ivi, p. 143, Weil scriveva infatti: “Non avendo saputo resistere ai tedeschi, per cercare compensazione siamo andati a privare della sua patria, approfittando di disordini passeggeri, un popolo con una civiltà millenaria, pacifico e ben organizzato. Ma il governo di Jules Ferry abusò dei suoi poteri” Aveva contro l’opinione pubblica e subiva l’opposizione sia di destra e sinistra, colse un pretesto per ottenere dalla Camera i crediti per la conquista del Tonchino.

[23] Ivi, p. 144

[24] Janet Patricia Little (1941-) was long affiliated with St. Patrick’s University College, Dublin as a Lecturer in French. She wrote her Ph.D. dissertation on Weil: “The Theme of Mediation in the Writings of Simone Weil,” University of Durham (1970) (with acknowledged assistance of André Weil, Simone Pétrement, and Sir Richard Rees).  Ronald Collins and J.P. LITTLE, Weil’s Single-Minded Commitment to Truth: A Q & A Interview with J. P. Little, Attention, August 16, 2021 https://attentionsw.org/weils-single-minded-commitment-to-truth-a-q-a-interview-with-j-p-little/

[25] Ibidem

[26] S. Weil, La prima radice, cit., p. 52.

[27] Ivi, 53