La vita di barca è per gente un po’ selvatica.
Non è una vita comoda e tutto è un po’ ristretto, misurato, a volte anche angusto ma ciò nonostante è bello, perché riesci a davvero a rilassarti staccandoti completamente dal mondo che vivi d’abitudine. Niente radio o telegiornale, né computer; il cellulare è irreperibile nelle ore in cui c’è solitamente bisogno di te e così rimangono solo la barca, il mare e i compagni di viaggio: ciò che serve.
Non ero mai salita su una barca a vela e la vacanza mi è piaciuta, molto. Se penso che non ci volevo andare e che il primo giorno sarei tornata a casa … “Io non ci risalgo la sopra” pensavo tra me e me mentre distesa sul lettino dell’Hotel Punta Rossa, al Circeo, mi riprendevo dopo aver rimesso questo mondo e quell’altro, e in lontananza li guardavo dalla splendida terrazza sul mare: “stanotte dormo qui e domattina vado a casa” . Mi avevano sbarcata col tender perché il mio stomaco non ce l’aveva fatta dopo un’ora di movimento ondulatorio in rada, col mare mosso: ci eravamo incagliati negli scogli e avevamo dovuto attendere i soccorsi.
Mi hanno poi spiegato che la causa non era la manovra sbagliata (come pensavo io) ma il vento, che trascinando l’ancora sul fondo l’aveva fatta incagliare. Il fratello del nostro architetto-skipper (passavamo a prendere lui) ci aveva avvertiti via radio di non venire più avanti perché nel fondale c’erano gli scogli. Altre due imbarcazioni avevano subito la stessa nostre sorte e attendevano anch’esse l’arrivo dei sub. Nell’attesa, nel tentativo di disincagliarla si era rotto anche il verricello – il salpa ancora – cioè il motore che la tira su e, capirai! Chi se lo aspettava che in barca c’erano gli imprevisti?
Gli imprevisti mi agitano: ieri sera ho smarrito le chiavi dell’auto e stavo per chiamare la protezione civile! E invece li, tutti i giorni ne qualcosa necessitava di riparazione: l’acceleratore del motore del tender, il finale della doccetta esterna, la passerella che crolla, la lamiera piegata dell’incavo dell’ancora, per non parlare dei pezzi da avvitare, stringere, ri-incollare. Meno male che questi qua se ne intendono e sono anche pieni di risorse.
In barca, tra chi va in barca perché il mare lo ama davvero, c’è moltissima solidarietà ed è forse per questo che la birra scorre a fiumi: dopo aver risolto l’inconveniente di solito ci si beve su. Ed ecco spiegato il motivo delle casse di birra e prosecco in proporzione industriale stivate nei gavoni alla partenza! Ad ogni modo prima di riconsegnare il TETI, un Sun Odissey da 42 piedi, tutto era tornato com’era, perfettamente funzionante e al suo posto.
Per farla breve, mi convincono non ricordo come a risalire sulla barca e partiamo per Ponza arrivando che è buio; l’isola mi appare accogliente, vivace, illuminata, bella nell’aria fresca della sera. Nonostante la traversata piuttosto tranquilla lo stomaco è provato e decido di dormire a terra; prendo una singola all’Hotel Mari, non apro nemmeno la finestra, tre secondi di doccia ristoratrice e sono già a letto – fermo, finalmente – dove dormo sino alle dieci del giorno dopo. Tutti gli altri passano la loro prima notte in barca.
La mattina, aprendo la persiana, mi accorgo di essere sul corso principale: entra una bella luce e il paesaggio è fantastico: l’arco che forma la cala è li davanti con i suoi promontori, le barchette, le case colorate, c’é un gran viavai. Da qui in avanti è stata una passeggiata.
Uscivamo in barca dalla mattina alla sera seguendo il perimetro dell’isola e attraccando davanti alle spiagge di Chiaia di Luna, Cala Feola con le piscine naturali, Cala Fonte con il piccolo scoglio a forma di grotta, al Frontone e alla baia del francese a Palmarola.
Gabriele non aveva mai parlato della sua competenza in fatto di barche. Si, è vero, talvolta aveva accennato ad un gozzo, il mare gli piaceva, ma forse il fatto che andava a pescare non mi aveva mai consentito di andare oltre col discorso. E invece era davvero bravo, per quello potevo capirne io, e ho saputo da sua moglie che va in barca dall’età di sedici anni, ha fatto delle regate.
La cosa più buffa che faceva era alzarsi d’un tratto annusando l’aria, capire da dove veniva il vento, quale vento fosse, e decidere che era il momento di spiegare le vele; allora tutti e tre si mettevano a giravare dei mulinelli facendo scorrere queste cime colorate sino a che le vele erano aperte e la barca si muoveva spinta solo dal vento.
Una volta la fece andare così forte e così piegata che ci si rovesciò tutto, nonostante avessimo stivato per bene alla partenza. Si rovesciò anche il barattolo del sale grosso e Gabri ed io ce lo buttammo alle spalle, come vuole la tradizione scaramantica.
Una settimana è passata in un lampo tra calette e paesaggi, fermandoci a fare il bagno al largo e sentendo il vento soffiare, guardando il sole che tramonta a destra e la luna sorgere a sinistra, vedendo per la prima volta la luna rossa e navigando di notte.
La sorpresa più grande però sono state le nostre bambine, mia figlia Angelica e la loro Sveva: due vecchi lupi di mare. Sette anni l’una e cinque e mezzo l’altra completamente a loro agio in mare e in barca, mai un segno di squilibrio; acquistate due maschere professionali con boccaglio (e pinne!) si tuffavano inseparabili sott’acqua ad osservare branchi di pesci colorati, ai quali noi gettavamo briciole di pane per attirarli, e mentre li guardavano Angelica cantava, sentivamo il suono e i respiri uscire dal boccaglio. C'é da dire che anche lo ZIO STE' é stato molto carino con loro e le ha tenute occupate, facendogli fare cose divertenti.
Verso le nove di sera invece, una volta rientrati, a Gabri gli prendeva il momento della colf.
Rimetteva tutto in ordine, puliva con grandi secchiate d’acqua, riforniva la barca di quello che mancava e noi stendevamo sui lati i costumi da bagno ad asciugare, prima di scendere per la cena in un ristorantino o a prendere pizza e gelati.
Per prano mangiavamo a bordo, cose semplici come pasta, insalata e macedonia al porto preparata dagli uomini per noi e per immancabili (graditissimi!) ospiti occasionali: in barca più si è e più ci si diverte!
Tanti bei ricordi, primo fra tutti il continuo dondolio sentito ininterrotto per i due giorni successivi allo sbarco.
Ma l’immagine simbolo di questa vacanza siamo noi sette in navigazione al tramonto: il cielo tinto di strisce rosa ed arancio, le bambine sedute sulla punta della barca, i piedi a pezoloni, a guardare il mare, Michela ed io sul ponte ad occhi chiusi e il vento fresco della sera mentre ascoltiamo Get out of my way di Ayo. Provate ad immaginare.
Per chi - come me - non se ne intende di barca, ecco dei termini che ho imparato:
Prua: il davanti della barca (va da sé che la poppa è il dietro).
Tender: il gommone piccolino per muoversi dalla barca a riva
Gavoni: grandi contenitori posti sotto ai sedili.
Borosa: una delle cime per la vela
Dritta: a destra
Babordo: sinistra
Gozzo: piccola imbarcazione, di solito adibita a trasporto o da pesca.
Boma, winch, drizze e bocca di lupo … lasciate perdere. E’ complicato.