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di Valeria Ballarati

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Da Largo Cairoli a Piazza Cinque Giornate: a piedi nella mia Milano

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Ci pensavo da un po’.
All’ultimo secondo decido di organizzarmi, cosa del tutto insolita per me che pianifico con un certo anticipo per stare più tranquilla; lo dico a mio marito, prenotiamo un posto sul freccia rossa, disdico gli impegni presi, mi faccio sostituire in negozio (Santa Eleonora, disponibile il giorno prima per quello dopo!) mi accordo con tutti per gli impegni della bambina, trovo da dormire, avviso i parenti e … la mattina parto per Milano: all’una sono già in  Centrale. Magico questo treno, devo solo raggiungere lo studio di Lele (mio fratello) che mi riaccompagnerà a casa. Prendo la metro ma scendo prima, in Cairoli, voglio fare due passi e osservare la città ...

Mi scambiano per una straniera: How are you? Where do you come from? sarà l’abbigliamento, sarà il trolley che porto con me per ficcarci dentro le poche cose che servono in una toccata e fuga, sarà che forse ho davvero l’aria di una che arriva da Marte … eppure sto tornando a casa. Perché Milano per me è casa.
Camminando lungo il marciapiede che da piazza Castello porta in centro osservo i bei negozi alla moda, i bar storici con gli arredi d’epoca e imponenti mazzi di fiori all’ingresso, tavolini ordinati e camerieri nell’impeccabile divisa nera. I milanesi a quest’ora fanno uno spuntino, le badanti in congedo passeggiano, i manager décontracté  si mischiano ai turisti, alle famigliole, ai single di ogni genere curati in qualsivoglia particolare.
Cammino in mezzo alla gente: è questo che volevo fare, camminare e guardare. Anche ascoltare. Sono a Milano perché questa sera incontro un personaggio della compagnia teatrale per la quale ho scritto un paio di commedie. Ho qualche dubbio che ce la faremo a metterle in scena: i contratti teatrali sono complicati, ci sono clausole e contro clausole, cavilli e restrizioni e quando ho cominciato a scriverle non lo sapevo, lo facevo perché era divertente.
Mi siedo un attimo sui gradini del palazzo della posta in piazza Cordusio, osservo.
E mentre qualcuno vicino a me si lamenta che “è sempre merda, ci metti lo zucchero ma non te la puoi mangiare… fossero fragole, sono buone, ma invece è merda” (nulla da eccepire al riguardo, di qualsiasi discorso si trattasse!) osservo l’andirivieni del luogo. Tram arancioni che vanno e vengono tra signorili  palazzi storici, affollate caffetterie; biciclette, tante biciclette, piccoletti che si agitano nei passeggini mentre i genitori e i nonni chiacchierano o finiscono la loro coppetta di gelato.
Cammino ancora ma ogni tanto mi fermo per guardare, non voglio perdermi niente.
Le vetrine mostrano eleganti completi di lino color ostrica, gessati blu con l’orlo appena impunturato affiancati da un arcobaleno di t-shirt polo. Ecco la nota profumeria, ecco la vetrina di Salmoiraghi e Viganò, il negozio storico su tre piani. Negli anni settanta i due negozi di ottica erano concorrenti e si facevano la guerra a suon di pubblicità, offerte speciali e promozioni; poi un giorno la svolta: dalla fusione dei marchi dei due big milanesi dell’occhiale nasce il colosso che sono tutt’oggi. Una delle tante belle storie d’impresa milanesi, soprattutto perché oggi la proprietà è ritornata italiana.
E’ afosa la mia Milano. 
Non so se siete pratici del centro ma in fondo a Via Orefici, nello slargo che si apre su Via Torino e Via Mazzini, d’un tratto si apre la veduta mozzafiato che ebbe anche Renzo Tramaglino nei Promessi Sposi: marmo bianchissimo su cielo azzurrissimo ecco il Duomo di Milano e la sua Madonnina dorata, sulla guglia più alta.
Un grande stand su Israele è stato eretto alle spalle del monumento, la statua a cavallo di Vittorio Emanuele II, e per questo  camionette della polizia e dei carabinieri sono parcheggiate poco distanti. I soldati armati spiccano tra la gente di ogni continente in posa per una foto ricordo, singolarmente, in gruppo.
Gli accenti e il tubare dei piccioni si mescolano, un piccione si avvicina e si siede a un passo da me. Mi guarda col suo occhio arancione.
"Non ho niente da darti piccolo” e sembra capire; si alza, lo guardo allontanarsi, camminare con passo caduco perché gli mancano tre dita della zampetta sinistra: il comune la deve smettere di torturare questi poveri animali con i suoi strani sistemi di dissuasione, deve trovare un altro modo, che non li lasci mutilati.
Fa caldo … proseguo, sono davanti al portone in bronzo dell’ingresso centrale. "Ma lo costeggio a destra, verso il palazzo della curia, o a sinistra, sul percorso più mondano?" penso. "A sinistra, certamente, e la Galleria? No, troppo affollata. In piazza della Scala ci arrivo un’altra volta" e nel frattempo annuso il buon odore del fumo di una pipa li vicino e mi soffermo sui sandali fucsia very fashion di una ragazza un po’ bassetta che guadagna così i suoi venti centimetri di altezza supplementari, a discapito di una falcata sicura.
Tante persone infilate tra le edicole aprono giornali, comperano souvenir e biglietti della fortuna. Dietro al Duomo c’è l'ombra e il fresco, il vento in un angolo fa girare le foglie in tondo formando un singolare mulinello; da lontano verso San Babila arriva il suono di una fisarmonica.
Ecco i Paolini, la Libreria San Paolo dietro al Duomo. Ma che c’è in vetrina? Leggo qualche titolo: Enzo Bianchi Una lotta per la vita, Carlo Maria Martini Via Crucis, Erri De Luca Le Sante dello scandalo, e ancora Il Digiuno nella chiesa antica, Non giudicate e non sarete giudicati, Io non taccio di Don Gallo, La Sagrada Familia secondo Gaudì … posate tra i libri spiccano due sculture bianche dal titolo Vincolo Vitale e Albori, molto belle: una madre allatta e l'altra bacia il suo bambino.

Fa così caldo, giro l’angolo su Via dell’Arcivescovado dove si affacciano le finestrone del Palazzo della Curia. Peccato per le bifore: salvo le ultime tre non sono state restaurate a dovere. Chissà perché l’architetto non ha seguito nel restauro almeno l’ogiva della finestra e ci ha messo invece questi orribili rettangoli di alluminio marrone.  Su piazza Fontana sistemano il pavé e passo davanti alla Banca Nazionale dell’Agricoltura, che questa volta non esploderà … c’è una targa, i nomi delle vittime, dico una piccola preghiera.
Passo la sede dei Vigili urbani e vado verso il tribunale, incontrando un gruppetto di francesi e una signora con indosso un bellissimo Sari celeste.  Hira, il mio colf indiano, ce lo dice spesso di andare in India con lui ed io vorrei, vorrei andare a conoscere la sua famiglia, sua moglie con cui ci siamo scambiati messaggi affettuosi e piccoli regali; intendiamoci, non é che noi avessimo bisogno di un colf, ma mettendolo in regola, Hira ha potuto fare ritorno a casa e riabbracciare i suoi cari che non vedeva da cinque anni. Voglio andare in India,  mi comprerò un bellissimo sari anch’io.

Supero la Biblioteca Sormani davanti alla quale riconosco le prime “labbra ritoccate” da un chirurgo estetico, accompagnate da una superba borsa di Prada.  Che capigliatura quella signorina, tutta rasata ai lati e minuscole treccioline al centro, raccolte in alto da un nastro, nero come i suoi occhiali da sole. Passa un eco-bus in corso di Porta Vittoria, mi ci vorrebbe ma son quasi arrivata; che pochi alberi, mi fermo a rinfrescarmi sotto la loro giovane chioma.
Sui tre ingressi del Tribunale vi sono appese le fotografie di tre uomini e una data: 9 maggio – giorno della memoria. Non so chi sono, mentre mi rinfresco polsi e capelli nella fontanella pubblica sotto al pioppo, chiedo notizie. “Sono tre procuratori” mi dice un ragazzo che si ferma anche lui a bere: “il primo era il procuratore del fallimento Sindona, ucciso dalla Banda della Magliana”. E prosegue raccontandomi ciò che ricorda, lo ringrazio.

E’ tempo di andare, sono già le quattro e mezza e sono in giro da più di tre ore ma … ancora un momento: non si può non fermarsi davanti a questa fantastica vetrina di eliografica! C’è un bel libro di Mondrian che piacerebbe tanto a Vitaly, un ragazzo ucraino che secondo me ha grandi possibilità di diventare un affermato pittore. Per ringraziarmi dei Fiori di Bach che gli avevo preparato dipinse per me un quadro"raffigurante una rara orchidea, un fiore che mi somigliava" e io, non sapendo cosa dire, per ringraziarlo a mia volta gli regalai il suo primo cavalletto professionale … lo portò a casa a piedi, tenendolo sulla spalla: ricordo ancora la sua buffa espressione e il balbettio incredulo.
A sinistra ci sono le mie matite colorate preferite: svizzere, acquarellabili, i prismalo Caran D’Ache che usavo trent’anni fa; quasi quasi faccio un regalo alla tata (la mia bimba) … uhhh, ma che costo!  32 euro per 18 colori, 77 euro per 40 colori … vabbé, magari un'altra volta.

Pochi passi et voilà: eccomi in Piazza Cinque Giornate. Abita qui una nostra cara amica, Rosa, grandissimo commerciale IS ora in pensione, nonché grandissima donna. Dobbiamo a lei la famosa massima: “Ognuno deve fare il brodo con quello che ha: due cavoli, tre rape …” ad indicare che in una Azienda è necessario trarre il meglio anche da quel poco che si ha.  Ci è venuta spesso a trovare a Roma, in compagnia della sua amica tedesca, cantante d’operetta, che si affezionò a me quando intonai l'iniziale melodia di Al Cavallino Bianco, che proprio non si aspettava da me.

Venivano accompagnate dall’inseparabile meticcio bianco e nero, grassottello e molto sereno, che ci attendeva pazientemente accucciato sotto al tavolo del ristorante.  Il poverino morì di un attacco di cuore  mentre erano nel pieno di una tournee estiva e volendo seppellirlo nel giardino di casa, Rosa si mise mestamente al volante, guidando tutta la notte e attraversando due confini, con il corpicino esanime della povera bestiola nascosto nel baule dell’auto, per riportarlo in Germania …

E che dire di quell’altra notte, quando volendo uscire a prendere una boccata d’aria, nel giardinetto antistante l’istituto delle Madri Canossiane dove erano ospiti per la notte, Rosa fece scattare l’allarme facendo accorrere tutte le consorelle in camicia da notte! Che tipe quelle due …

Eccomi, sono arrivata. Comincia ad esserci traffico e rumore ma non importa, tra poco usciremo dalla città. Mi mancava Milano, sono contenta di rivederela, ma sono nata in provincia e la sera, per dormire, non potrei davvero fare a meno dei boschi, dei campi e del "fiume azzurro" che passa poco lontano.

Ps Grazie Ornella! Come ti ho già detto questo viaggio é merito tuo