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di Valeria Ballarati

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Quanto costa la politica?

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Analisi dell'Ufficio Studi Confcommercio su "I costi della rappresentanza politica in Italia".

Con un terzo di rappresentanti in meno, possibile ridurre l’Irpef di quasi l’1 per cento.


La scarsa efficienza dell'apparato pubblico unita all'eccessivo livello di spesa pubblica (oltre il 50% del Pil) rendono indispensabile agire anche su questo fronte per ridurre la pressione fiscale su famiglie e imprese. In particolare, una possibile azione di contenimento della spesa pubblica potrebbe partire dai costi della rappresentanza politica - ovvero quelli che i cittadini complessivamente sostengono per eleggere e far funzionare l'insieme degli organismi legislativi nazionali e decentrati - che, nel nostro Paese, ammontano ad oltre 9 miliardi di euro l'anno, corrispondenti a poco più di 350 euro per nucleo familiare, circa 150 euro a testa.

Applicando ai circa 154 mila rappresentanti politici dei vari organi collegiali nazionali e locali l'ipotesi - più volte ventilata e condivisa da più parti - della riduzione di poco più di un terzo del numero dei parlamentari si avrebbe, infatti, un risparmio di spesa di oltre 3,3 miliardi all'anno. Cifra sufficiente ad attuare una riduzione permanente di circa 8 decimi di punto della prima aliquota Irpef a beneficio di oltre 30 milioni di contribuenti o, in alternativa, ad ottenere permanentemente una somma di 2.900 euro all'anno da destinare a tutte le famiglie in condizioni di povertà assoluta. In entrambi i casi, si tratterebbe della più grande ed efficace operazione di redistribuzione mai effettuata nel nostro Paese. Questi i principali risultati che emergono dall'analisi dell'Ufficio Studi di Confcommercio, "I costi della rappresentanza politica in Italia" consultabile integralmente su www.confcommercio.it.

Da molti anni la spesa pubblica nel nostro Paese si mantiene stabilmente al di sopra del 50% del Pil. È un dato comune alle principali economie europee, anche esse ispirate al modello che intende contemperare esigenze del mercato e coesione sociale, ma che presenta, nel caso dell'Italia, connotazioni anomale, prime fra tutte la scarsa efficienza dell'apparato pubblico e la modesta capacità delle politiche redistributive di attenuare/ridurre le disuguaglianze dal lato dei redditi.

Ciò è possibile solo attraverso una graduale riqualificazione e progressiva riduzione della spesa pubblica. E' per questa ragione che, ogni e qualsiasi sforzo andrà prodotto per aggiustare al ribasso la dimensione della spesa, a partire dai costi della rappresentanza politica, funzione determinante per formare la fiducia, il senso civico e le aspettative dei cittadini. Nella definizione del perimetro dei costi abbiamo adottato un'impostazione restrittiva. Inoltre, per ragioni logiche, oltre che per l'esigenza di semplificare i conteggi, non abbiamo inserito nei costi della politica, la spesa delle Pubbliche Amministrazioni per trattamenti di quiescenza. Sotto questo profilo, proponiamo una possibile tassonomia dei costi della rappresentanza politica, distinguendo tra costi monetari e costi non monetari. I primi si suddividono in costi diretti (di rappresentanza), cioè riferiti agli emolumenti dei rappresentanti (eletti), costi di funzionamento, comprendenti sia le remunerazioni per personale dipendente e per le collaborazioni (costi indiretti), sia gli acquisti di beni e servizi intermedi della pubblica amministrazione (costi gestionali), strumentali all'esercizio effettivo della rappresentanza politica, e altri costi.

Nel complesso i costi monetari misurabili della rappresentanza politica, calcolati per l'anno 2009, superano i 9,1 miliardi di euro e quindi, considerando i quasi 25 milioni di famiglie e gli oltre 60 milioni di abitanti, i costi della rappresentanza politica valgono circa 367 euro per nucleo familiare, pari a 152 euro a testa. Stando così le cose, e immaginando una vita media di 80 anni sia per le donne che per gli uomini, e un'indicizzazione dei costi della politica pari al tasso d'inflazione a sua volta pari al tasso d'interesse nominale, al momento della nascita ogni cittadina e cittadino italiano dovrebbero considerare un debito vitale per costi della rappresentanza pari a poco più di 12mila euro (152x80).

Questo peso non ha nulla a che vedere con i costi della burocrazia o con i costi non monetari della stessa politica. Quasi il 77% dei costi monetari sono costituiti dalle spese di funzionamento delle strutture di supporto alle assemblee legislative nazionali e locali. All'interno di queste, le sole spese denominate indirette, corrispondenti alla remunerazione dei dipendenti pubblici che operano in funzione di staff, valgono poco meno del 47% dei costi monetari totali. I costi diretti, invece, che rappresentano il totale delle indennità di funzione e di carica corrisposte ai rappresentanti politici, pesano per oltre il 19% del totale, una proporzione largamente inferiore a quella dell'insieme dei costi gestionali (il 30,1%, sostanzialmente gli acquisti di beni e servizi utilizzati nella "funzione di produzione della politica").

Si deve ribadire, poi, il legame inscindibile tra costo monetario e costo non monetario: per ogni euro di risparmio sugli sprechi della politica, una catena di "euro" vengono potenzialmente risparmiati grazie al fatto che le relazioni socio-economiche della collettività diventano più fruttuose e più dirette, grazie alla ridotta intermediazione e alla limitata invadenza della politica.