Roma
Il veliero di Gangs of New York «solidamente ancorato ai binari di ferro» della piscina di Cinecittà, la mongolfiera del Barone di Munchausen identica all’originale fatto «con la biancheria intima delle signore del 700», la biblioteca in legno di quercia del Nome della rosa, i gioielli imponenti di Medea , le parrucche colossali di Maria Antonietta . Dietro l’estro registico, le visioni fantasiose, le ricostruzioni stupefacenti, c’è l’esercito delle mani, le mani degli artigiani di Cinecittà, un popolo invisibile e glorioso, neanche citato nei titoli di coda dei film, composto spesso da dinastie familiari che si sono tramandate il sapere, ma anche i segreti, le manie, le pretese dei nomi più celebri del grande schermo: «Qual è la differenza tra artigiano e artista? - s’interroga il premio Oscar Dante Ferretti, che ieri per Hugo ha ricevuto la sua decima nomination -. Sempre arte è». Per la prima volta un documentario di 50 minuti, Handmade , ideato da Laura Delli Colli e da Guido Torlonia che firma la regia, prodotto per la Enormous films da Luchino Visconti di Modrone, con il sostegno di Vuitton, in occasione dell’inaugurazione della maison romana, celebra una categoria che frequenta ben poco le notti delle stelle e i festival internazionali.
Si vede tutto quello che in genere non si vede. Distese di copricapi, saloni pieni di armature, cumuli di valigie, cinture, calzari, montagne di stoffe pronte per la tintura. Parlano le sarte, i falegnami, i pittori, i parrucchieri, i truccatori. Raccontano, sul filo della voce narrante di Chiara Mastroianni, come si dà materia ai sogni: «Durante le riprese della Nave va , Fellini voleva un rinoceronte. Mi disse: “Voglio che sembri un camion rovesciato in mezzo alla strada”. Che gli risposi? “Grazie Maestro, per la spiegazione, adesso sicuramente riusciamo a fare quello che dice”». Spesso il Maestro era felice: «Avevamo costruito un enorme didietro, con delle natiche poderose rievoca Giovanni Gianese, detto «il Bernini del polistirolo» -, Fellini venne a vederlo, gli piacque così tanto che lo abbracciò dicendo “Immaginate se fosse vero!”».
Accontentare i divi può essere difficile. Manlio Rocchetti (Premio Oscar per Trucco e Parrucco) e sua madre Fernanda, che ancora oggi insegnano agli apprendisti come muovere l’uncinetto per realizzare le parrucche, mostrano il modello di una testa con su scritto «Loren, non toccare»: «Succedeva che il lavoro non le piacesse, allora diceva “questa parrucca è vuota”». Per Carlo Verdone «fu fatto apposta il calco, non c’era una testa che gli potesse andar bene».
Tutto richiede fatiche immense, talvolta curiose, ore e ore di impegno, per particolari che sembrerebbero trascurabili: «Venivano spennati uccelli di tutto il mondo - racconta Piero Tosi mentre scorrono le immagini dei cappelli di Silvana Mangano in Morte a Venezia -, si facevano studi per dare flessibilità alle piume». Per la gonna del vestito bianco di Claudia Cardinale nel Gattopardo sono state necessarie, racconta la sarta Antonia Barbitta, quasi tre settimane di lavorazione: «Scuci, ricuci, sposta...». Per il film sulla vita di Leonardo sono stata dipinti tre «Cenacoli»: «Ce ne voleva - racconta Michelino «Canefora» Fanculli, il «Michelangelo di Cinecittà» - uno solo disegnato, uno abbozzato, e un altro finito». Il lavoro è duro, ma creare, si sa, dà soddisfazione: «’Na volta ho dovuto fa’ un Van Gogh, m’è venuto bene, ero così contento che non ho voluto nemmeno i soldi». Davanti ai risultati di queste capacità, Martin Scorsese non ha avuto dubbi: «Beyond my imagination» («Oltre la mia immaginazione») ha detto al capocostruttore Luigi Sergianni, osservando le scene di Gangs of New York .
Loro, gli artigiani, conservano fin troppo il senso della misura: «Seguiamo il sogno del regista - dice il cappellaio Pieroni, abituato a ricevere commesse anche da Hollywood -, poi, certo, ci mettiamo anche del nostro...». I nomi noti, però, li contraddicono: «Come faccio se non ho chi realizza quello che voglio fare? Da sola non esisto», ammette la costumista Gabriella Pescucci. Gli spettatori, aggiunge il costumista Maurizio Millenotti, «non si rendono conto dell’enorme lavoro che c’è dietro quello che vedono».
Il documentario nasce proprio dalla voglia di alzare il velo su un mondo quasi sconosciuto: «Sono loro, gli artigiani - spiega Guido Torlonia - che hanno scritto silenziosamente, con la testa china su un tessuto o su un pezzo di cuoio, su un piano di lavoro o nel laboratorio dei gessi, la storia del cinema italiano». Per questo le mani, aperte, esibite come un trofeo, aprono e chiudono Handmade . Per ricordare tutto quello che viene prima, nel caos delle sartorie, nella polvere delle officine, nel rumore delle sale dove si creano spade e scudi: «Il cinema è un mondo strano - dice Chiara Mastroianni, ritratta bambina in una foto con il padre sul set della Città delle donne -, dove i disegni diventano scene e costumi preziosi...». Fino alla fine sembra sempre che tutto non sarà mai pronto, poi si batte il ciak e il sogno si avvera in quello strano, incredibile, silenzio perfetto «perché quando si gira non si deve nemmeno sospirare».
Commento: Eh si, il grande cinema italiano ... guarda