Luigi Tenco nasce alle 14 del 21 marzo 1938 a Cassine, in provincia di Alessandria.
Viene alla luce in casa, in corso Garibaldi 10, da Teresa Zoccola, vedova di Giuseppe Tenco, trovato morto nella stalla il 21 settembre 1937, ucciso, forse ubriaco, dal calcio di una mucca alla tempia durante la mungitura: non fu eseguita autopsia, nonostante le richieste di un parente. I congiunti che avevano denunciato la morte al podestà di Maranzana, dichiararono essere avvenuta alle due del 21 settembre, ma s’erano presentati all’autorità solo alle 17.30 del giorno successivo.
• I primi anni di Tenco trascorrono tra Cassine, Ricaldone e Maranzana. La famiglia è composta da: mamma Teresa (che gestisce una pensione), molto bella, spesso oggetto di pettegolezzi tra paesani; lo zio Giovanni, fratello di Teresa e capo della famiglia, commerciante in vini; un altro fratello di Teresa, disabile; i nonni molto anziani; un fratellino più grande di nove anni, di nome Valentino, tenuto in collegio a Varazze. Gli Zoccola, benestanti, possiedono una fornace. A Ricaldone vivono in una casa bianca, a tre piani, con cortile e pergola di vite, una stalla e la rimessa per il barroccio.
• A un certo punto Luigi Tenco scopre di essere un figlio illegittimo. Glielo dice un adulto del paese. Il vero padre era, ai tempi dell’incontro con Teresa, uno studente di dieci anni più giovane. Saputo della nascita del bambino, aveva più volte chiesto di riconoscerlo, ottenendo l’ostinato rifiuto dei genitori di lei. Sposerà un’altra donna e non avrà altri figli. Teresa ammette tutto, anche davanti al suocero, che disereda il bambino. Anni dopo Luigi Tenco scrive in una lettera: «Ci sono cose di cui non riesco a parlare nemmeno con te che sei la persona che più amo al mondo. Mio padre! Io ero un bambino felice, sereno, fiducioso, amavo il mondo dei grandi ma un giorno qualcuno, una persona adulta!, mi ha detto che io non ero il figlio di mio padre, di quel padre che pure non avevo conosciuto. Insomma ero un bâtard e portavo un cognome che non mi apparteneva. Capisci vero? Fu come se il mondo mi crollasse addosso: mi sentii tradito, odiavo tutto e tutti, divenni diffidente, chiuso, scontroso, “cattivo”. Ma ero soltanto un bambino infelice!».
• Nel 1948 la famiglia si trasferisce a Genova, in una villetta di Nervi di proprietà di Giovanni Zoccola. Teresa apre un commercio di vini aiutata dal figlio Valentino, che nel frattempo ha dovuto abbandonare gli studi per dare una mano. La bottiglieria, che vende soprattutto vini piemontesi, si chiama Enos e sorge in via Rimassa. Talvolta anche Luigi Tenco dà una mano nella vineria, ma si sente a disagio (scrive in una lettera alla direttrice di Marie Claire il 21 luglio 1960: «... è comunque vero che, per quanto mi è possibile, aiuto mio fratello nel suo lavoro di “grossista in vini” – o “commerciante di vini all’ingrosso”. Ora, poiché il termine vinaio è sinonimo di oste, almeno nel linguaggio parlato, e all’idea di oste si associa generalmente quella di una bettola più o meno maleodorante, il chiamare “vinaio” senza ulteriori chiarimenti chi è grossista in vini è come definire Lauro un barcaiolo o Marzotto un pecoraio o, peggio ancora, il direttore di un giornale un tipografo»).
• Luigi Tenco trascorre il tempo libero nella piazzetta di via Cecchi. Tra i primi amici c’è Sandro, figlio della portinaia nel suo palazzo, poi diventa inseparabile di Sergio Bacigalupo, figlio di Manlio portiere del Genoa. La mamma lo affida alla maestra Sandra Novelli, che gli impartisce le prime ripetizioni. Presso casa sua vive per lunghi periodi e lì comincia a suonare il pianoforte, mostrandosi appassionato e lesto nell’apprendere. Il primo amore è per una bambina di nome Rossana. Le spedisce delle rose con il biglietto: «A te che come le più belle cose sei nata in primavera».
• Al ginnasio all’Andrea Doria, Luigi Tenco coltiva ancora la passione per la musica e, nel soppalco della bottiglieria di famiglia, impara a suonare un clarino, facendosi accompagnare al banjo da Bruno Lauzi. Con questi mette su il suo primo complesso, chiamato Jelly Roll Morton Boys Jazz Band (a proposito di Lauzi scrive sul diario: «Non sa suonare, ma è pieno di soldi e porta il banjo»). Con loro ci sono Danilo Degipo alla batteria, Alfredo Gerard alla chitarra e Paolo Carrera come tuttofare. Brani più suonati: Sweet Georgia Brown e Route 66 di Nat King Cole, e Savoy Blues di Kid Ory. Lascia il ginnasio dopo un anno e s’iscrive al liceo scientifico. Si diploma, in anticipo e con voti brillanti, il 29 luglio 1956, presentandosi come privatista al Convitto Nazionale.
• Tra il 1956 e il 1958 Luigi Tenco al sax alto fa parte del Modern Jazz Group, composto da Fabrizio De André (chitarra), Attilio Oliva (sax baritono), Alberto Cameli (sax tenore), Mario De Sanctis (piano), Carlo Casabona (contrabbasso), Corrado Galletto (batteria). Nel 1958 insieme Gino Paoli (chitarra, ma pare che ai tempi non conoscesse un accordo) e Nicola Grassi (batteria) forma un gruppo chiamato I diavoli del rock. La canzone che apriva le loro esibizioni era stata composta da loro. Il testo: «Ah! Come è effervescente la magnesia di S. Pellegrino, alla sera e al mattino te ne prendi un cucchiaino… defecatio mattutina mingitioque vespertina juvat tamquam! Juvat tamquam! Juvat tamquam moedicina! Ah! Come è effervescente la magnesia di S. Pellegrino, alla sera e al mattino un cucchiaino ti darà…papparapapparapà felici – bum! (colpo di grancassa, ndr) – taaaà!».
• Intant Tenco si è iscritto alla facoltà di Ingegneria: sostiene l’esame di Disegno I (20/30), fallisce per due volte Geometria analitica con Eugenio Giuseppe Togliatti, fratello di Palmiro Togliatti. Si iscrive a Scienze politiche e dà due esami: a giugno del 1960 Geografia politica ed economica (24/30), a luglio 1961 Sociologia (24/30). Dopo, nessun esame. Nello stesso periodo prende la tessera del Psi.
• Nel 1959 ottiene un contratto con la casa discografica Ricordi e si trasferisce a Milano. Con lo pseudonimo di Gigi Mai esordisce nel complesso I Cavalieri insieme a Gianfranco Reverberi e Enzo Jannacci. Tra il 1959 e il 1960 suona utilizzando anche altri falsi nomi: Dick Ventuno e Gordon Cliff (suggerito da Lauzi in onore di Gordon Clifford autore di Down by the Cliff, brano che era piaciuto a entrambi). In una lettera a Nanni Ricordi (8 agosto 1960): «Mi rivolgo a Lei pregandola di scusare il disturbo che Le arreco onde essere compreso nel mio desiderio di non comparire su alcun disco con il mio nome anagrafico. Essendo io iscritto alla facoltà di Scienze politiche da due anni e, ciò che più importa, a un partito politico (che non nascondo essere il Psi), è troppo evidente che la mia passione per la musica non deve assumere aspetto professionale. Quanto al nome suggerisco di stampare il disco (Quando, ndr) con la dicitura “anonimo”, cosa che non credo mancherebbe di colpire il pubblico interessato».
• A Milano, Tenco e Piero Ciampi abitano in casa di Gianfranco Reverberi. Suona in tutti i dischi dove è necessario un sax e percepisce uno stipendio da orchestrale. Poi si trasferisce alla Pensione del Corso, al civico 1 dell’omonima Galleria. Nella stessa pensione vanno ad abitare Ciampi, Paoli, Endrigo, Mina, Lauzi, Reverberi, Tacchini, Sandrini ecc. Si esibisce spesso nel locale Santa Tecla, nel centro di Milano.
• La prima tournée di Tenco è in Germania con Gaber, Celentano, Tomelleri e Reverberi. Si agita sul palco imitando Celentano tanto che il pubblico lo scambia per l’altro. L’impresario scappa con gli incassi.
• L’8 marzo 1961 esce il 45 giri della canzone Quando. Siccome l’ha firmata con lo pseudonimo di Dick Ventuno, c’è Fabrizio De André che va in giro a dire di averla scritta lui. Quando Tenco gli chiede perché, De André risponde: «Per rimorchiare le ragazze». Nello stesso anno Tenco e Gino Paoli, fino a quel momento amici, smettono di parlarsi. La causa è la quindicenne Stefania Sandrelli, nuovo amore di Paoli, già sposato con Anna che è compagna di scuola e amica di Tenco. Per dimostrargli che non era la donna adatta, Tenco corteggia la ragazza e riesce a conquistarla. Poi racconta tutto a Paoli, che gli toglie il saluto.
• Nel 1962 Nanni Ricordi presenta Luigi Tenco al regista Luciano Salce che cerca per il suo nuovo film (La cuccagna) un attore per impersonare un uomo ribelle e contestatario. Tenco, per fare colpo, trascorre la notte precedente al provino senza dormire. Si presenta con la barba lunga: viene scelto. La sua presenza totale, in un film di un’ora e mezzo, supera di poco i venti minuti. Nella colonna sonora un brano di De André e due canzoni da lui portate al successo ma composte da Salce e Morricone (Quello che conta e Tra tanta gente). A fine anno si propone come protagonista del film La ragazza di Bube, ma gli viene preferito George Chakiris. Tenco ci rimane male ed è convinto che per quella parte sarebbe stato meglio un volto più «langarolo».
• Da gennaio del 1964 Luigi Tenco intrattiene una corrispondenza d’amore con Valeria, ventiduenne, studentessa universitaria a Roma. La incontra a Milano casualmente e due giorni dopo le scrive la prima di moltissime lettere in cui le racconta progetti e desideri. Spesso va a trovarla a Roma ma di questo amore non parla con nessuno.
• Nel 1965 Luigi Tenco passa alla casa discografica Rca. Scrive in una lettera (datata 13 ottobre) "mi rendo conto che l’industria della canzone sta cambiando e mi aspetto molto da questo passaggio… ho l’impressione di essere arrivato a una svolta, ma non so ancora di preciso che cosa ci troverò dietro. Mi rendo conto che la Rca è una casa discografica con precisi criteri economici e mi rendo anche conto che ogni cantante che vi approda ha un preciso valore commerciale. Ma quello che io cerco, quello di cui ho urgente bisogno non è tanto, o solo, il successo, un riscontro economico, io non voglio, non posso commercializzare le mie canzoni, ma un riconoscimento, quello cui aspira qualsiasi essere umano quando fa qualcosa in cui crede». Si trasferisce a vivere a Roma.
• Nel 1965, dopo vari rinvii per motivi di studio, Luigi Tenco è obbligato a fare il servizio militare. È nella divisione di fanteria “Lupi di Toscana” a Scandicci e si dichiara più volte antimilitarista davanti ai commilitoni. Termina il Car, poi ottiene diverse licenze per una forma di ipertiroidismo: per questa patologia viene congedato il 10 marzo del 1966.
• Luigi Tenco è un accanito giocatore di poker amante dell’azzardo; ha il complesso delle braccia corte e del collo taurino. Spesso ha relazioni con donne sposate e in più di un’occasione ruba le fidanzate degli amici. Ha paura dei tuoni e del buio (dorme spesso con la luce accesa). Inventore di una speciale radio per sub; all’università aveva stupito un docente presentando una soluzione personale per un difficile teorema; intenzionato ad allestire nella propria abitazione uno studio di registrazione per mandare i suoi lavori finiti alla casa discografica. Ama i gatti, ma alleva solo cani. Una battuta che ama ripetere agli amici: «Sono fuori di me e sto in pensiero perché non mi vedo rientrare». Si definisce ironicamente «mandrogn» (Mandrogne è un paese in provincia di Alessandria famoso per gli allevatori di mucche). Ha la mania delle armi: possiede un fucile e tre pistole (una carabina Beretta 22 modello Olimpia, un revolver Arminius calibro 22, una Dwp P08-Luger calibro 7.65 Parabellum, una Walter Ppk). Enzo Jannacci lo ricorda, in giro per Milano, portarsi sempre dietro qualche libro di Pavese e una rivoltella.
• «Burlone e incline allo spleen, vocato allo sfottò ma non ad esserne bersaglio». [Cesare Romana, il Giornale 23/1/1997]
• Nel 1966, solo di diritti Siae, Luigi Tenco guadagna sei milioni di lire a semestre. In quel periodo, incuriosito dal libro Le porte della percezione di Aldous Huxley, inizia ad assumere Lsd e mescalina, pur non diventandone dipendente. Per tenere a bada la paura del palcoscenico, invece, si affida a metredina (composta da aspirina e Coca Cola, o aspirina e alcol) e alle compresse di psicofarmaci (Pronox). Di se stesso diceva: «Ho la paga di un sergente e i vizi di un generale».
• Nell’agosto del 1966 Luigi Tenco conosce la cantante Dalida, nome d’arte di Jolanda Gigliotti: 33 anni, nata in Egitto ma di origini calabre, già ricca e famosa. Dieci anni prima, con la fascia di miss Egitto, s’era trasferita a Parigi dove aveva intrapreso la carriera di cantante. A Roma per incidere Pensiamoci ogni sera: «Appena posso scappo al bar, dove capita l’occasione che mi presentino Luigi. Lo vedo e resto come colpita da un lampo paralizzante. (…) La stretta di mano di Luigi equivale a una scossa elettrica. Divampa subito la passione. Entro in quel fiume di emozioni alla stregua di un ruscello che non può sfociare altrove. Sono irresistibilmente attratta da lui. Insieme facciamo passeggiate romantiche mano nella mano. Andiamo al cinema o in qualche pizzeria oppure tiriamo tardi in casa di Miranda Martino il cui uomo è Lavagetto, ligure come Tenco. E proprio li io e la Martino esortiamo Luigi a essere un artista meno intransigente. “Bisogna sempre scendere un po’ a compromessi nell’ambiente in cui si lavora e dove si vuole trovare fortuna”, gli ripetiamo. Ma a queste parole, di colpo svanisce la sua allegria. “Ah, io dovrei cercare nuovi rapporti con la società? Ma neanche per sogno! Mica sono una donna di spettacolo come voi”». Dalida è sempre più innamorata: «Mi sento completamente alla deriva, in balia di un sognatore imprendibile. Mi regala il ricordo più bello: una notte non bada a percorrere 600 chilometri in macchina per veder spuntare l’alba assieme a me. Il nostro rapporto è incatenante. Chi ci conosce bene dice che sembriamo gli unici amanti su questa terra». [Gianni Melli, Oggi gennaio 1987]
• Nell’autunno del 1966 il direttore artistico della Rca, Ennio Melis, insieme a un altro funzionario della casa discografica, Mario Cantini, vanno a Parigi per raggiungere Dalida: inaspettatamente si trovano davanti Luigi Tenco che scende le scale di casa portandola in braccio per via di una frattura alla caviglia. Tenco dice di voler partecipare al Festival di Sanremo. Nei giorni successivi, al rientro a Roma, fa sentire al discografico Ciao amore ciao (un verso: «Andare via lontano – cercare un altro mondo – dire addio al cortile – andarsene sognando – e poi mille strade – grigie come il fumo – in un mondo di luci – sentirsi nessuno»). Dalida è entusiasta, accetta di cantare con lui a Sanremo, quelli della Rca cercano di farlo desistere, inutilmente.
• Luigi Tenco e Dalida sono inseparabili, ma lui continua a scrivere a Valeria, che aspetta un figlio da lui, e le chiede di sposarlo. La ragazza vuole almeno laurearsi e lascia in sospeso la questione. Tre giorni dopo la proposta di matrimonio Valeria incontra Tenco e Dalida a cena in un ristorante romano: non vuole più sapere niente di lui. Tenco cerca di rimediare, le scrive delle lettere. Dapprima è furioso: «Pensi proprio che potrà finire qui? C’è quel figlio mio che tu ti sei portata via. Hai intenzione di allevarlo da sola, infischiandotene di me, e di impedirmi magari di vederlo, come se io non avessi alcun diritto su di lui? Scordatelo. Io non lo permetterò mai, come non permetterò che possa portare un cognome che non gli appartiene» (6 novembre 1966). Valeria però viene investita da un’auto e perde il bambino. Nelle lettere successive Tenco cambia tono: «Amore mio, Adriana ha promesso di farti avere questa lettera: ti prego, leggila, mi è costato scriverla, ammettere la mia stupidità, la mia presunzione, le mie debolezze, la mia ingenuità. Sono solo un uomo, e non tra i migliori, se mi sono lasciato trascinare in questa situazione assurda e non ho la forza e la volontà di uscirne, perché se lo tentassi ne sarei distrutto, comunque. Io ho sbagliato tutto nella mia vita, l’unica cosa giusta, pulita sei stata tu e a te non voglio e non posso rinunciare. Ti ho detto mille volte ti amo, ma non ti ho mai detto scusami (è una parola che non vuoi sentire!) per i miei tanti difetti, per non aver la forza di uscire da questo ambiente ipocrita, falso, spietato in cui domina il compromesso. Perché sono una nullità. Mi hanno promesso il “paradiso”: mi sento sull’orlo di un baratro. Come ho potuto arrivarci! Accidenti a te, perché non hai avuto fiducia in me, perché non mi hai detto di sì. È tutta colpa mia: io ho permesso a quella donna di costruire tutta questa storia, mi sono prestato al suo gioco, perché da idiota io lo credevo solo un gioco. Tenco e Dalida, la coppia vincente del prossimo festival. Che notizia golosa per i giornalisti! Io ho permesso agli altri di ricamarci sopra (ma se mi conoscessero veramente, come potrebbero crederci?). E poi, poi, quando tu te ne sei andata ho pensato di poter fare l’amore con lei, per punirti, per ferirti come tu stai ferendo me. No! Non ha funzionato. Ho tentato in tutti i modi, ho passato delle notti intere (aspetta un attimo!) a bere, a cercare di farle capire chi sono, cosa voglio, e poi... ho finito col parlarle di te, di quanto ti amo. Che gran casino, vero! Certo, lei si è dimostrata molto “comprensiva”, ma mi ha detto che ormai dovevamo portare avanti questa “assurda” faccenda agli occhi degli altri. È una donna viziata, nevrotica, ignorante, che rifiuta l’idea di una sconfitta, professionale o sentimentale che sia. E ora non so più come uscirne. Tesoro mio, qualunque cosa tu possa sentire o leggere, credimi, abbi fiducia in me. Ti prego, ora basta: torna, ho bisogno di te: non ti chiederò nulla, non voglio sapere nulla. Ti amo tanto e ti voglio disperatamente».
• Nello stesso periodo Luigi Tenco rilascia un’intervista a Herbert Pagani. Su Radio Montecarlo. Tenco: «Mettetevi in culo quelle trombette!»
• Il 31 dicembre 1966, scritturato per il veglione di fine anno alla casina Valadier a Roma, Luigi Tenco si incaponisce a cantare Ti ricorderai di me, in contrasto con l’atmosfera di allegria generale. A metà serata un’altra pretesa: per continuare a cantare esige immediatamente il suo cachet (devono fare una colletta per soddisfarlo). Poi, non ottenendo l’attenzione del pubblico, si alza dal pianoforte e strilla: «Mettetevi in culo quelle trombette!». Una lettera per Valeria
• Il 16 gennaio 1967 Luigi Tenco scrive una lettera a Valeria: «Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace... a volte sono ingiusto, egoista, arrogante. Penso ai miei problemi e non sempre mi rendo conto di ciò che hai passato e stai passando. Potrai perdonarmi amore mio? Il fatto è che io, io non vorrei mai che tu ti allontanassi da me; quando questo succede mi sento così spaventato e solo come se tutta la solitudine del mondo mi pesasse sulle spalle. Sarà l’ultima volta! Al diavolo anche Sanremo, vada come vada, a questo punto non me ne frega più niente: voglio che passi, che finisca, voglio uscire da questo gran casino in cui mi sono infilato. Prometto: ti ascolterò tesi e tesine, parleremo di Dna, deficit idrico, zea mays e... di noi soprattutto. Appena avrai discusso la tesi faremo una cosa che non abbiamo fatto ancora, ce ne andremo per un periodo di tempo, tu ed io da soli. Andremo... in Africa... in Kenia. Guarda nel secondo cassetto della scrivania e comincia a fare qualche programma. Tesoro, avremo i giorni e le notti tutte per noi: potremo parlare, prendere il sole, fare l’amore, dimenticare i problemi che abbiamo vissuto, le angosce, i momenti bui. Potremo riscoprire il senso della vita. Ciao, Luigi. Torna presto: queste mie mani sono piene di carezze per te e io... io non sopporto la tua assenza». Fonte
• Luigi Tenco, 29 anni, parte da Roma in treno alla volta del Festival di Sanremo, dove dovrà cantare la canzone Ciao amore ciao. Siccome ogni brano musicale è presentato da due artisti, a fare da partner a Tenco c’è la sua amante, la cantante Dalida, nome d’arte di Jolanda Gigliotti, 34 anni, nata in Egitto ma di origini calabresi, già molto affermata.
• All’arrivo a Sanremo, Tenco telefona alla Rca, a Roma, perché qualcuno gli porti la sua auto, parcheggiata nel recinto della casa discografica. Nel cassetto della macchina tiene una pistola. Qualche ora dopo il suo arrivo, chiama il direttore della Rca, Melis, per riferire gli umori della stampa: gli sembra che tutti siano d’accordo nel dire che vincerà lui. Verso sera i produttori musicali Paolo Dossena e Mario Simone vengono chiamati da Tenco e Dalida nella camera di quest’ultima: annunciano che si sposeranno entro un mese al massimo. Giovedì 26 gennaio 1967
Luigi Tenco presenta la sua canzone a Sanremo
• Mattino. Luigi Tenco durante le prove è molto nervoso. Anche Dalida sembra assai irritata: gli rimprovera di storpiare la canzone, si morde le unghie, gli chiede di metterci più grinta. Piagnucola: «Mi rovina la canzone! Rovina tutto». Lui si arrabbia ancora di più quando i giornalisti, alla fine, gli fanno notare che Dalida canta il brano meglio di lui.
• Tenco, finito di provare e litigato col direttore d’orchestra Giampiero Reverberi colpevole, secondo lui, di averlo fatto sbagliare, va a giocare alla roulette al casinò. Vince seimila lire. Sulle scale insieme a Dalida lo aspettano i fotografi, ma passa quasi inosservato perché la diva è lei.
• Pomeriggio. Intervistato da Daniele Piombi per Radio Montecarlo, gli viene chiesto cosa si aspetta dal Festival. Risposta: «Una vittoria». Luigi Tenco non vuole salire sul palco per cantare
• Sera. In attesa del suo turno Tenco confida al conduttore Mike Bongiorno che vorrebbe trovarsi sott’acqua, in profondità. Quando arriva il suo momento sono circa le dieci e mezza. È in preda al panico. Mike Bongiorno gli fa coraggio, quasi spingendolo sul palco, lui farfuglia: «Questa è l’ultima canzone che canto». Finito di cantare è stravolto, pallido, gli occhi scuri febbrili. Qualcuno si complimenta con lui ricordandogli che invece alle prove era stato un mezzo disastro. Al medico del casinò, Rinaldo Ferrero, dietro le quinte: «Ciao, dottore». Ha gli occhi sbarrati, forse ha preso qualcosa. Si dirige nel reparto trucco, presso i camerini, proprio sotto al palco, si sdraia su un tavolo e si addormenta. La canzone di Tenco è esclusa dalla finale di Sanremo
• Ore 23.20. Vengono comunicati i risultati: la canzone di Tenco è esclusa dalla finale: ha preso 38 voti su 900 dalle giurie e la commissione che avrebbe potuto ripescarlo preferisce La rivoluzione, di Gianni Pettenati e Gene Pitney. Il giornalista Lello Bersani e il regista Lino Procacci, che fanno parte della commissione, si dimettono. Tra gli esclusi illustri anche Domenico Modugno. I discografici Dossena e Simone, insieme al regista Piero Vivarelli, svegliano Tenco per comunicargli l’esclusione. Non sembra arrabbiato. Gli dicono che alzeranno un polverone, proprio come era accaduto l’anno precedente per Il ragazzo della via Gluck di Celentano. Comincia a gridare, impreca, si altera, se la prende con tutti. Lo raggiunge Dalida, vanno a discutere in un sottoscala adibito a deposito di bottiglie. Dopo poco li raggiunge un giovane fotografo, Renato Casari, inviato dalla Domenica del Corriere: gli scatta delle foto, riesce persino a farlo sorridere dicendo che Modugno e Villa hanno vinto e quindi prima o poi arriverà il suo turno.
Venerdì 27 gennaio 1967
Le ultime ore di Luigi Tenco
• Ore 0.20. Luigi Tenco esce dal casinò e manda al diavolo delle ammiratrici che gli chiedono l’autografo. Prende l’auto e fa salire Dalida, parte sgommando e per poco non investe Pettenati: sono diretti al ristorante Nostromo, per una cena organizzata dalla Rca. Dalida, spaventata, lo fa fermare e scende in attesa di un altro passaggio. Tenco si va sdraiare su un sofà del foyer del casinò. Lo svegliano per chiedergli di portare fino al locale la moglie di un funzionario della casa discografica. Accetta, ma la donna dopo pochi metri lo fa fermare e scende dicendo agli altri: «Mi dispiace, ma io ho dei figli». Con lui sale di nuovo Dalida, la porta al ristorante e se ne torna indietro, all’albergo.
• Dopo qualche minuto quelli che sono a cena al “Nostromo” sono preoccupati per come hanno visto Tenco guidare. Telefonano all’hotel: il cantante è rientrato.
• Mancano pochi minuti all’una. Luigi Tenco è nella camera 219, nella dépendance dell’Hotel Savoy: è l’ultima stanza dell’edificio, la più lontana dalla hall, con affaccio su via Fratelli Asquasciati. La camera non è di lusso: entrando, sulla sinistra si trova un grande mobile a cassettoni e poi uno specchio, due sedie, un letto e una scrivania. Alla destra del letto la porta del bagno privato. Tenco telefona al produttore Melis, che tanto l’aveva scongiurato di non partecipare al Festival: questi si fa negare (vuole la linea libera: sua madre è in ospedale e versa in gravi condizioni). Allora telefona a Valeria, la ragazza romana che ama in segreto e che stava per dargli un figlio, prima di essere investita da un’auto e abortire. Tenco ha la bocca impastata, è agitato e stanco, le dice di aver litigato con Dalida ma non racconta di aver annunciato solo il giorno precedente il matrimonio con la cantante. Poi lentamente si calma. Si danno appuntamento: lui vuole guidare fino Roma, ma la ragazza gli chiede di andarla a prendere all’aeroporto di Genova, tra qualche ora. Parlano del viaggio in Kenya, da fare dopo che lei avrà discusso la tesi a marzo. Vogliono comprare un casolare a Cori, nella campagna romana. Andranno a vivere lì. Parlano del figlio perso, ma sono giovani, ci riproveranno. È sicuro che dietro alla sua esclusione ci sia una combine: non vede l’ora di dire tutto in una conferenza stampa, domani. Riaggancia.
• Ore 1.25. I proprietari del ristorante “Nostromo” vedono Dalida andare via insieme ai discografici Dossena e Simone.
• Ore 2.10. Dalida va a vedere come sta Tenco, trova la porta accostata, le chiavi nella toppa esterna. Bussa, da dentro nessuna risposta, entra. La luce è accesa, Tenco sdraiato a terra immobile, vestito con l’abito scuro e una camicia bianca un po’ aperta. Dalida caccia un urlo. Di corsa dalla stanza accanto arriva Lucio Dalla, poi Dossena e Simone. Trovano Dalida in ginocchio accanto a Tenco, lo tiene abbracciato sollevandolo per il busto. La donna si alza col vestito imbrattato di sangue e scappa dalla stanza nel corridoio, gridando.
• La notizia della morte di Tenco si diffonde. In pochi minuti nella hall del Savoy si raccoglie una gran folla, Dalida urla: «Assassini! Assassini!». Si vede l’organizzatore Gianni Ravera stizzito sbattere il soprabito su una poltrona mentre dice che il Festival deve continuare a ogni costo. Lucio Dalla singhiozza seduto su una sedia dell’atrio, vestito soltanto con un pellicciotto sulle spalle.
• Ore 2.15. Viene avvisato il commissario Arrigo Molinari, che prima di uscire di casa comunica all’Ansa che Luigi Tenco si è suicidato. Arriva al Savoy in pochi minuti. Nella camera un via vai continuo di persone. Dalida consegna al commissario il biglietto che ha trovato sul tavolino della stanza di Tenco: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente 5 anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io tu e le rose in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi».
• Ore 3. Il referto del dottor Franco Borelli: «Verso le ore tre del 27 gennaio 1967 sono stato chiamato all’Hotel Savoia nella camera n. 219 della Dépendance dove ho proceduto alla seguente constatazione: steso a terra, accanto al letto e vicino a un armadio a cassettoni, con al lato prospiciente la porta, verso cui si nota un altro armadio a specchio, un uomo dall’apparente età di circa trent’anni, e che corrisponde al nome del cantante autore Luigi Tenco. È in posizione supina. Si nota una larga chiazza sanguigna e materia cerebrale al lato destro del capo e anche all’intorno. Si nota un foro d’entrata di proiettile d’arma da fuoco alla regione temporale destra. L’arma viene trovata in mezzo alle gambe che si presentano in posizione divaricata. È evidente la posizione assunta dal cadavere come conseguenza di ferita da arma da fuoco a scopo suicida dalla posizione in piedi alla caduta in terra. In fede dottor Franco Borelli».
• Luigi Tenco è portato all’obitorio di Valle Armea, ma appena arrivato lì, il commissario Molinari ordina di riportarlo nella stanza 219 perché non sono stati fatti i rilievi fotografici, essenziali al fascicolo da trasmettere alla Procura.
• Ore 4.15. Arriva al Savoy il brigadiere Antonio Giuliano, che fa le foto. Tenco è messo sul pavimento in una posizione diversa rispetto all’originale: ha i piedi sotto al comò e la pistola, una Walter Ppk calibro 7.65, non è più in mezzo alle gambe ma sotto al sedere. Così lo fotografano, poi è riportato all’obitorio. Nella stanza 219 del Savoy• Elenco degli oggetti ritrovati nella camera 219: una pistola automatica cal. 7.65 marca Walter, matr. n. 517600; un caricatore contenente n. 6 cartucce cal. 7.65; un bossolo con proietto cal. 7.65; una scatola di cartone contenente a sua volta una scatolina con 12 cartucce per pistola automatica 7.65; un caricatore nuovo, vuoto, per la stessa arma; un arnese di metallo giallo per la pulizia dell’arma; un libretto d’istruzioni; un foglio per tipo al bersaglio con alcuni fori e, infine, la denuncia d’acquisto della pistola medesima. Inoltre: il passaporto, una tessera omaggio per l’ingresso alla sala comune del Casinò, una penna, una scatola di Pronox vuota, la patente, un libretto d’assegni, l’orologio, un portafogli, una lettera della Rca con busta a lui intestata. Niente soldi.
• Si notano due scalfiture prodotte da arma da fuoco sopra la porta d’ingresso dalla camera. Sul cranio di Tenco non si riesce a trovare il foro d’uscita della pallottola, che quindi si suppone sia rimasta nella testa. Non è ordinata alcuna autopsia.
• Ore 5.20. Viene interrogata Dalida poi la lasciano ripartire per la Francia insieme al fratello, Bruno Gigliotti, e l’ex marito, Lucien Morisse, arrivato a Sanremo la sera prima, la stessa in cui era venuto a sapere della relazione tra Dalida e Tenco.
• Ore 10.15. Gli effetti personali di Luigi Tenco vengono restituiti al fratello Valentino.
• Tata Giacobetti, del Quartetto Cetra, manda un telegramma al ministro del Turismo e Spettacolo: «La tragica scomparsa dell’amico e collega Luigi Tenco impone la sospensione della manifestazione di Sanremo essendo evidente conseguenza della drammatizzazione dell’ambiente contagiato da fini esclusivamente commerciali».
• Serata. Il corpo di Luigi Tenco è portato in una camera della sua villa “La Torre” di Recco, piccola costruzione a due piani fra gli ulivi in salita sulla collina di Ruta. Dalla finestra si vede il bel parco dove giocava sempre coi nipotini. La madre, 62 anni, non informata del suicidio del figlio e convinta che avesse avuto un incidente d’auto, nel vederlo ha una crisi cardiaca. Anche senza Tenco il Festival di Sanremo continua• Ore 20. La seconda serata del Festival di Sanremo, in onda sul canale nazionale, si apre con Mike Bongiorno che dice: «Questa seconda serata comincia con una nota di mestizia per il lutto che ha colpito il mondo della musica leggera, con la scomparsa di un suo valoroso esponente». Sabato 28 gennaio 1967
I funerali di Luigi Tenco• Ore 11. Nella parrocchia di San Simeone, a Ricaldone, si celebrano i funerali di Tenco. Una lettera del vescovo di Acqui, monsignor Giuseppe Dell’Olmo, con il permesso di far entrare la bara in chiesa, è stata recapitata al parroco, don Giacomo Ighina. Quindi il sacerdote, con i chierichetti, raggiunge l’abitazione degli zii del cantautore defunto, ov’era stata allestita una camera ardente, in attesa del feretro da Recco. Gran folla nella chiesa: molti restano fuori, stipati sul sagrato, due ragazzini portano una bandiera abbrunata della federazione giovanile del Pci di Alessandria. La mamma è rimasta a casa. Tra i presenti noti: Fabrizio De Andrè con la moglie, il cantante Michele, la moglie di Gino Paoli, i fratelli Reverberi. I colleghi di Sanremo non ci sono: stanno nella chiesa di Ospedaletti, dove si sta sposando l’americano Gene Pitney.
• Tenco è sepolto nella tomba di famiglia, nel cimitero che dista appena un chilometro dalla chiesa.
• Serata. Claudio Villa, insieme a Iva Zanicchi, vince per la quarta volta il Festival di Sanremo. La canzone s’intitola Non pensare a me.
• La procura generale di Sanremo dispone la riesumazione del corpo di Luigi Tenco per effettuare nuovi esami.
• In seguito all’autopsia sul cranio di Tenco viene trovato il foro d’uscita del proiettile che si credeva fosse rimasto nella testa. La procura generale di Sanremo conferma la tesi del suicidio e chiude il caso. Fonte
Commento:
mi è sempre piaciuto quest'uomo e la sua storia.
Da piccola sentivo mia madre cantare Mi sono innamorato di te.