Valencia è una cittadina della Spagna molto vivace, efficiente e densamente popolata.
Deve aver subito l’influenza di più culture perché a tratti pare di trovarsi in un città del nord Europa, in America, addirittura in Australia o … a Milano in occasione della Città della Moda.
E’ una città ricca, ben tenuta, modaiola, dove si mangia ad ogni ora.
Non ci si sente soli mai, basta uscire dall’hotel e fare due passi; i valenciani sono discreti e cordiali e a differenza degli inglesi, che se la tirerebbero, o dei francesi, che farebbero finta di non capire, non si scompongono se non parli la loro lingua: anche parlando ognuno il proprio idioma, ci si capisce bene lo stesso e anzi, si genera una sorta di complicità.
E’ una città molto elegante nei suoi edifici bianchi neobarocchi, con le affascinanti piazze rivestite di marmi rosati, arricchite da fontane, giochi d’acqua, aiuole fiorite.
Modernità e tradizione vivono fianco a fianco e così può capitare che proprio accanto ad un centro commerciale di sette piani o ad una catena di fast food, si trovino ancora i piccoli negozi artigiani di tendaggi, belle arti, ventagli e “mantillos” (mantelli).
Il centro città è tutto li, lo si gira a piedi in una mattinata, con un buon passo.
Prenotando su Booking.com abbiamo trovato un confortevole hotel proprio nella zona pedonale centrale adiacente la Piazza dell’Ajuntamiento (il Comune) – bellissima circondata da piccole rivendite di fiori freschi – accanto al Palazzo della Posta, a cinquanta metri dalla stupenda Stazione del Norte, un’elegante facciata che nasconde un ancor più meraviglioso interno in legno, lampioni stile liberty e ceramiche floreali a rilievo, con mosaici di scene di vita e paesaggi valenciani. La Cattedrale, anch’essa a poca distanza: un edificio massiccio in pianta gotica e ingressi di stile romanico, gotico e barocco, sui lati; sul retro un’altra famosa piazza, dove davamo il pane ai piccioni e proseguendo, ecco la Torre de Serranos, utilizzata per un periodo come prigione per nobili.
Seguendo invece il corso del fiume Turia - prosciugato negli anni ’60 dopo la devastante inondazione del ‘57 che inondò la città con circa due metri d’acqua e fango - si raggiunge la Città d’Arte e della Scienza, un insieme di architetture avveniristiche e laghetti artificiali rivestiti nel più pregiato materiale locale – la ceramica - costruzioni che ospitano le più diverse attività.
L’emisferico è il più bello per me, ha la forma di un occhio umano e al suo interno vi è la più grande sala cinematografica di tutta la Spagna; qui si assiste alla proiezione di filmati sull’astronomia e di intrattenimento su animali, africa, egitto, dinosauri, vita negli oceani, evoluzione. Il Museo della Scienza è ospitato nell’Edificio dedicato al Principe Felipe. E’ uno spazio interattivo dove è possibile la manipolazione e l’esperienza personale, tramite spazi laboratorio. Tutti i materiali possono essere visti da vicino: legno, oggetti di vita quotidiana, genoma umano; si possono eseguire piccoli esperimenti coi principi della fisica, elettromagnetismo, effetti luminosi, meccanica, elettricità. Per non parlare dell’area Star Trek, il Paese dei Balocchi per gli appassionati del genere, e dell’Area Spaziale ESA con satelliti e razzi in scala, simulazioni di assenza di gravità e lanci (che io ho accuratamente evitato).
Bello anche l’IVAM, il Museo d’Arte Contemporanea, luogo dove Angelica era palesemente a suo agio grazie all’intelligenza e alla bravura della sua Maestra, che ha saputo far fiorire in questi bambini il gusto e la passione per l’Arte. Ci siamo andati ancor prima di visitare il Museo Oceanografico e il Bio Parco.
In effetti io non sono andata né all’uno, né all’altro. Mentre i miei due si infilavano nel tunnel sottomarino dell’Oceanografic, io terminavo la mia visita al Bosco dei Cromosomi, per passare al settore spaziale. E siccome il sole era ancora alto sono poi uscita per una passeggiata sul corso che costeggia il Palazzo Reina Sofia, dove in occasione del decennale sono stati posati bellissimi pannelli con gigantografie del Fotografo Javier YeYe Tur raffiguranti eventi significativi di questi dieci anni di attività. Le attività svoltesi in questo complesso non hanno limiti: dalla danza classica, ai concerti di altissimo livello, ai video clip rock girati nei laghetti; dai tornei sportivi al nuoto sincronizzato e alle gare di scacchi; dagli esperimenti dei bambini delle classi minori alla salvaguardia delle specie salvate e nate in cattività, quest’ultima cosa opinabile, certamente.
Tra le tante didascalie apposte ecco ad un tratto apparire le prime strofe in spagnolo del Poema 20 di Pablo Neruda, la mia poesia prediletta, dove mi sono naturalmente emozionata e ho versato anche due lacrimucce … non capisco perché questa poesia mi sia così cara: ogni volta è come se la leggessi per la prima volta e se ne va dritta dritta al cuore.
Più in là, a sottolineare l’immagine di un piccolo di tartaruga appena nato, minuscolo sulla mano della dottoressa, altre – le seguenti - bellissime parole:
No perderé la esperanza de ablar contigo. No me importa qué dice el destino. Quiero tener tu fragrancia conmigo. Y beberme de ti lo prohibido. Sabes que estoy colgando en tus manos. Asi que no me dejes caer. Sabes que estoy colgando en tus manos … (Carlos Baute, Colgando en tus manos) - Non perderò la speranza di parlar con te. Non mi importa di cosa dice il destino. Voglio tenere il tuo odore con me. E bere di te il proibito. Sai che pendo dalle tue mani. Così non lasciarmi cadere. Sai che pendo dalle tue mani …
E’ una città relativamente recente nella part esterna al di là del fiume, con grandi edifici moderni, multipiano, a grandissima densità abitativa. Una città che pensa in grande, con grandi vie di accesso, che ci tiene ad essere ordinata, pulita, vivibile. Ai bordi e in centro, quello che non è già stato ricostruito, è in ricostruzione. Ci tengono, i valenciani, e si vede.
La nostra attività preferita rimaneva comunque la passeggiata per le vie cittadine.
Annusavamo e osservavamo la città, i quartieri, la gente.
E così ci capitava di imbatterci in una piccola mostra fotografica di Delgado sulla costruzione di una miniera; di osservare due sarte all’opera in un negozio di abiti tradizionali valenciani; di entrare in un mercato coperto dove era il trionfo della frutta e della verdura, così poco utilizzata nei ristoranti lungo le strade, ed ammirare polpa di succulente mezze zucche già cotte e gratinate nel forno a legna! E poi ancora c’erano i negozi di dischi 33 e 45 giri, i quartieri arabi, i murales; ascoltare la musica degli esercizi di violoncello che uscivano da una finestra aperta al secondo piano di una palazzina d’angolo del quartiere Carmen.
E via di nuovo incontro alla scolaresca in visita alla Mostra di Elena Sorolla en la Playa, o ecco che ci infiliamo nel gruppo di bergamaschi e bresciani per profittare dell’occasionale spiegazione del Palazzo dell’Arcivescovado di una guida spagnola parlante italiano.
E subito dopo, sul retro della cattedrale, ascoltiamo il suono di una rallentata My Way ad opera di un suonatore di violino di strada, la pelle color oliva e gli occhi scuri come il caffè, al quale lasciamo una moneta di ringraziamento.
Dario - detto “l’Erasmus”- è il motivo per il quale ci siamo riuniti proprio a Valencia.
Figlio di Tino e Letizia, colleghi di Dino e nostri amici di vecchia data con cui abbiamo trascorsi simpatici in quel di Roma e di Principina a Mare, alloggiava nei pressi della città universitaria La Carrasca, ma l’abbiamo purtroppo visto poco dato che il suo prof aveva sfortunatamente spostato l’esame di meccanica del suolo al giorno della nostra partenza per il ritorno. Anche sua sorella Manuela, dimorante invece a Londra dove ha da poco terminato il Master in Arts Management ci ha raggiunti. Tino e Leti arrivavano da Milano, noi da Roma ... niente male come convergenza!
Non sono rimasta molto contenta del cibo, ma come potrei esserlo nella terra del Jamon Serrano??? Gambe di maiali erano appese al soffitto in ogni spazio ristorativo. Pesci di ogni genere. Carni di ogni genere. Per Angi e me è stata dura i primi giorni, non capivamo bene come fare. La cose del bar erano piuttosto grasse e quelle dei ristoranti e dell’albergo piuttosto costose: Angelica però non amava il cibo veloce e così abbiamo optato per il breakfast continentale dell’hotel, mentre a pranzo patate al forno e panini.
La sera cena fissi da Fresco, in Carrer De Felixc Pizcueta, un self-service All You can eat dal mercato alla tavola, con ricchissimo buffet di verdure fresche e crude, variopinte, con ogni genere di dressing (condimento). Piatti caldi, pasta da condire, pizza con gusti a richiesta. E mentre ci godiamo la Valencia notturna ecco sfilare 28 Ferrari rosse, gialle e bianche, partecipanti al Ferrari Challange Trofeo Pirelli, il mondiale dei collezionisti di vetture d’epoca ospitato a Valencia sul Circuito Ricardo Tormo.
L’ultimo giorno abbiamo raggiunto il mare, la spiaggia di Malvarrosa, una Venice Beach in versione più modesta ma non per questo meno bella e curata; la passeggiata alternava giochi per bambini a palme, fontane, sculture, bar e ristoranti. Persone facevano jogging, i ragazzi giocavano a pallavolo, facevano acrobazie, gli aquiloni volano alti con il po’ di vento che dicono esserci sempre.
Quando mi muovo da casa i primi due giorni sono di assestamento, sono sempre un po' sfasata. Anche al ritorno mi ci vuole sempre almeno un giorno di ri-adattamento. Non so se anche per voi è così ma, comunque, muoversi e vedere il mondo, vale sempre la pena.
Per informazioni: www.hellovalencia.es