Le sofferenze dei greci in nome delle banche.
La Grecia è in ginocchio: dopo tre anni di terapia intensiva per curare l’eccesso di debito pubblico, il reddito nazionale è crollato del 12 per cento, la disoccupazione ha superato il 20, la protesta dilaga e il governo di coalizione è in pezzi. Eppure, l’Europa non è soddisfatta e chiede ulteriore rigore.
I tempi stringono: i 130 miliardi della rata di prestito concesso dal Fondo monetario e dalle istituzioni europee sono indispensabili per le necessità correnti e soprattutto per pagare gli interessi in scadenza la settimana prossima (15 miliardi). Il Parlamento greco dovrebbe votare questa sera le nuove misure imposte dai creditori. E’ probabile che alla fine Papademos ottenga i voti necessari, ma non per questo la situazione sarà risolta.
Il fatto è che il problema fondamentale, quello dell’insolvenza dello Stato greco, continua ad essere affrontato in modo improprio e questo soprattutto per proteggere gli interessi delle banche internazionali e delle stesse banche centrali, Bce in testa. Il debito greco, che ha superato il 170 per cento del Pil (era il 106 cinque anni fa), non può essere ragionevolmente rimborsato e dunque i creditori devono accettare un taglio. Ma per compiere questo apparentemente ragionevole passo si sono costruiti non uno, ma tre pasticci.