Un Risorgimento di eroi inquieti
Mi affascinano le contraddizioni dei protagonisti di quest'epoca.
Quando Mario Martone mi parla del film (Noi credevamo n.d.r.) al quale sta lavorando manca ancora un anno o due alle celebrazioni per il centocinquatesimo dell'Unità d'Italia. Dice che nel suo film non si occuperà di un evento importante come la Repubblica Romana del 1849 ma che sarebbe una storia adatta a me. Un po' come ho fatto in quella dell'eccidio alle Fosse Ardeatine, Radio Clandestina, che debuttò undici anni fa al Teatro di Roma quando era diretto da lui e che nacque da una sua proposta.
A me il Risorgimento non interessa e mi fanno tristezza le celebrazioni con le bandiere e le corone dei fiori. Né mi interessa andare alla ricerca di anniversari per pescare finanziamenti. Gli americani infilano la bandiera da tutte le parti e a vederli un po' da lontano pare proprio che ci credano. Loro ne hanno bisogno per cancellare il senso di colpa per un genocidio che è costato un numero incalcolabile di nativi e per inventarsi un baraccone nel quale si finga di essere tutti fratelli, ex-italiani immigrati con gli ex-schiavi deportati, ex-ebrei-sopravvissuti con ex-galeotti inglesi, eccetera. Ma per noi, che abbiamo imparato a parlare l'italiano perché ci siamo comprati la televisione a rate, la bandiera è un simbolo che sventola allo stadio, sui tetti delle case in costruzione e, ultimamente, sui soldati rimpatriati morti.