Roma, 10 maggio 2011 - Gli hanno sparato addosso. Preso a calci in faccia, additato come lo sport 'malato' per acclamazione. Ciclismo uguale doping, corridori branco di traditori. Poi, la tragedia. Un ragazzo di 26 anni lanciato a 80 all'ora si schianta sulle strade del Giro d'Italia. Muore. Tutti si stringono attorno al ciclismo: il mostro ha ritrovato la sua dignità.
Nessuno nega gli errori, tanti, che sono impressi nella storia. Indelebili. Ma è possibile che siringhe e sacche di sangue abbiano cancellato i valori di uno sport che fa del sudore, del fango in faccia e della fatica estrema la sua massima espressione?