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di Valeria Ballarati

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Tesi 1.2 Parole vuote e omicide

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Capitolo 1 - Cause, radici e sviluppi dell'oppressione sociale.

1.2 Parole vuote e omicide

Nell’analizzare i grandi ideali per i quali si è portati all’uso della violenza e della forza, nel testo del 1937 Non ricominciamo la guerra di Troia[1], Weil scopre che quelli di fatto sono parole che coprono un vuoto effettivo, e che sono utilizzate prevalentemente in politica: nazione, sicurezza, proprietà, democrazia, ordine autorità. Le chiama “parole omicide” perché non indicano obiettivi da raggiungere e non hanno altro scopo che la morte. In presenza di un obiettivo concreto, attraverso una forma di dialogo e compromesso, l’obiettivo sarebbe alla portata dei rivali, ma come nella guerra di Troia non c’è e le parole hanno il ruolo di Elena, abbellite di maiuscole ma senza contenuto.

Weil vorrebbe smascherare l’ipocrisia, togliere la patina di inganno, quel vocabolario artificiale in uso alla politica che genera potere, violenza, e perciò uso della forza con il pretesto della sicurezza o del bene pubblico.


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Tesi 1 Cause, radici e sviluppi dell'oppressione sociale 1.1 l'oppressione sociale

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Capitolo 1

Cause, radici e sviluppi dell’oppressione sociale


“Non camminare davanti a me, potrei non seguirti;

non camminare dietro di me, potrei non sapere dove andare;

cammina a fianco a me e sii per me un amico!”

Albert Camus


“On les voit à peine, on les sent, plutôt qu’on ne les voit.

On à des peines infinies à les faire sentir à ceux qui ne les sentent pas d’eux-memes (…)”

Blaise Pascal, pensée 21 - Esprit de géometrie et ésprit de finesse


1.1 L’oppressione sociale

Era una Simone Weil giovanissima quella che a soli venticinque anni prendeva coscienza di snodi fondamentali, e scriveva riflessioni impattanti e significative essendo mossa da sete di giustizia e apertura verso l’altro suo simile. Pensava naturalmente ad alcune soluzioni pratiche, come era il suo modo di reagire alle situazioni nel tentativo di “riparare il mondo”, analizzando dapprima le cause e le forme in cui l’oppressione sociale si era storicamente data.

“Dal punto di vista morale l’oppressione è un insulto alla dignità della natura umana”[1] scriveva nella lezione di filosofia sull’oppressione sociale per le sue allieve al liceo femminile di Roanne, nel 1933-34, appena dopo il primo periodo di insegnamento a le Puy, dove la militanza nel sindacato rivoluzionario e le umane frequentazioni con gli operai avevano generato uno scandalo,[2] e persino interventi delle autorità scolastiche a verifica dei suoi metodi di insegnamento, risultati ineccepibili.

E’ l’anno in cui scrive l’articolo Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale a cui teneva molto, una sorta di “testamento” prima dell’ingresso in fabbrica, testo che le prenderà molte energie[3] a partire dalla primavera e per buona parte dell’estate assumendo infine le dimensioni di un piccolo libro.[4] Datata 20 giugno 1934 è anche la domanda di aspettativa per “studi personali” dove non parla naturalmente del suo voler lavorare in fabbrica ma descrive il progetto in questi termini:

“Desidererei preparare una tesi di filosofia concernente il rapporto della tecnica moderna, base della grande industria, con gli aspetti essenziali della nostra civiltà, cioè da un lato la nostra organizzazione sociale e dall’altro la nostra cultura.”[5]


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Tesi, Introduzione: alle radici greche del culto della forza

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Pubblico la prima parte della mia tesi, come anticipato.

Buona lettura!


Fedeli a se stessi:

il rapporto oppresso-oppressore nelle riflessioni in Simone Weil.



Introduzione

Alle radici (greche) del culto della forza

Il rapporto oppresso-oppressore è un tema che attraversa ogni epoca.

Simone Weil, filosofa e scrittrice francese vissuta agli inizi del Novecento, ne aveva un’idea precisa. Nel 1933-1934 quando insegnava filosofia presso il liceo femminile di Roanne, e mentre si intravedeva già in questi anni la sua voglia di uscire dalle “retrovie”, dato che rimanere fedele a se stessa era uno dei suoi tratti caratteriali, esplicitava già questo tema nel testo Réflexions sur les causes de la liberté et de l’oppression sociale[1] dove, fin dalle prime righe, dominava l’argomentare sull'oppressione sociale.

“Se comprendessimo le cause dell’oppressione, non ci troveremmo più in questo stato insopportabile che consiste nel subirla, immersi nello smarrimento.”[2]

Occorreva dunque andare alla ricerca delle cause dell’oppressione nella società, cause che Simone Weil individuava in prima battuta nell’ambiente di lavoro, ma che approfondirà successivamente a partire dall’analisi delle forme in cui l’oppressione si era storicamente data, ovvero ricollegandole a un culto della forza con radici antichissime, che risalivano alla Grecia e proseguivano nell’Impero Romano e anche nella Francia del Cardinale Richelieu.


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Mi sono laureata

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Quanto tempo è passato dall’ultima volta in cui ho scritto. In effetti ho avuto un po’ da fare: il 19 marzo scorso mi sono laureata!

Quando la segreteria didattica comunicò la data d’inizio della sessione di laurea primaverile ho pensato fosse una specie di segno: il 19 marzo è la festa del papà e avendo perso mio padre in giovane età ho pensato, ovunque egli fosse, a quanto potesse esser felice e orgoglioso d’avere uno dei suoi figli laureato in Filosofia.

Sono stati tre anni bellissimi. La Filosofia è calmante oltre che tremendamente interessante. E’ come se qualcuno mi avesse offerto una sedia dicendomi: “vieni, siediti qui, vedrai che starai bene”. Credo proprio si tratti della famosa temperanza esposta nel dialogo giovanile Carmide di Platone. E io mi sono seduta sulla sedia filosofica e ho ascoltato, tanto; e studiato tanto; ma l’impegno e i grandi sforzi di attenzione indirizzati alla comprensione sono stati ampiamente ripagati dalla costante sensazione di meraviglia negli occhi, nelle orecchie, nel cuore.

E’ chiaro che la filosofia e i filosofi del passato sono patrimonio del mondo.

Di recente viene riscoperta anche la professione del Filosofo: avete sentito parlare di Consulenza Filosofica? C’è tutto un mondo di speranza ancora da sondare mediante le competenze dei filosofi, sempreché una guerra mondiale (che i popoli non vogliono, sono i potenti a volerla, naturalmente) non intervenga a fermare le vite di tutti noi. Anzi, forse è proprio questo il momento in cui la filosofia può mettere le sue competenze a disposizione di uomini e situazioni; potrebbe andare in aiuto agli attuali difficili dialoghi tra Nazioni, portare un contributo alla mediazione evidenziando le necessità di ascolto di tutte le parti in gioco, percorrendo una via che non sia di solo conflitto.

La Filosofia è in grado! A volte è solo questione di ascolto dei punto di vista.


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La favola di Igino

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La favola di Igino 

Favola 220 attribuita all’astronomo Hyginus, I secolo

La «Cura», mentre stava attraversando un fiume, vede del fango cretoso; pensierosa, ne raccoglie un po’ e incomincia a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa avesse fatto, interviene Giove. La «Cura» lo prega di infondere lo spirito a quello che aveva appena formato. Giove acconsente volentieri. Ma quando «Cura» pretende di imporre il suo nome a ciò che ave- va formato, Giove glielo proibisce e pretende che fosse imposto il proprio nome. Mentre la «Cura» e Giove disputavano sul nome da dare, interviene anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato formato fosse imposto il proprio nome, perché gli aveva dato una parte del proprio corpo. I disputanti elessero cosi' Saturno a giudice, ed egli comunicò la seguente equa decisione: «Tu, Giove, poiché hai dato lo spirito, alla morte riceverai lo spirito; tu, Terra, poiché hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fintanto che esso vivrà lo possiederà la Cura. Poiché però la controversia riguarda il suo nome, si chiami homo poiché è fatto di humus (suolo da cui proviene, e cioè un composto).


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Geometria e finezza

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Buon Santo Stefano a tutti.


"La vraie éloquence se moque de l’éloquence. La vraie morale se moque de la morale, c’està‑dire que la morale du jugement se moque de la morale de l’esprit qui est sans règles.

Car le jugement est celui à qui appartient le sentiment, comme les sciences appartiennent à l’esprit. La finesse est la part du jugement, la géométrie est celle de l’esprit."


"La vera eloquenza si infischia dell'eloquenza, la vera morale si infischia della morale; la morale del giudizio, cioè si infischia della morale dell'intelletto, che é senza regole.

Il sentimento infatti appartiene al giudizio, come le scienze appartengono all'intelletto. La finezza é propria del giudizio, la geometria dello spirito. Infischiarsi della filosofia è fare veramente filosofia."

Pensiero 24, edizione Chevalier - Blaise Pascal

 

La lettera del giudice inglese al Console italiano

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Il giudice inglese Robert Peel, l’uomo che ha negato ai genitori di #IndiGregory il diritto di trasferire la figlia in Italia per essere curata dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma, ha inviato questa ignobile lettera al Console italiano a Manchester, che aveva scritto a lui di attivare la nostra giurisdizione sul caso della piccola vittima dopo la concessione della cittadinanza italiana.

“Potresti aver sentito che con grande tristezza Indi Gregory è morta… La sua famiglia è nei miei pensieri… presumo che tu non voglia procedere con la richiesta…”.

Non solo quest’uomo ha rivendicato il diritto di decidere che la vita di un essere umano indifeso e innocente dovesse indiscutibilmente finire – “nel suo migliore interesse” – nonostante pareri medici contrastanti, ma ora si permette anche il lusso di un’ipocrita tristezza intrisa di ironia cinica.

Non c’è nulla che metta in pericolo i diritti umani fondamentali più di un giudice che crede di essere Dio onnipotente.

Fonte

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Indi é morta

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#IndiGregory è volata in cielo stanotte alle ore 1.45. Le parole del papà:

I might be asleep in the morning....  but indi life ended at 01.45am

me and claire are angry heartbroken and ashamned .  the nhs and the courts not only took away her chance to live,  they took away indi dignity to pass away in the family home where she belonged . They did succeed in taking indi's body and dignity, but they can never take her soul. They tried to get rid of indi without anybody knowing, but we made sure she would be remembered forever. i knew she was special from the day she was born.

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Indi Gregory

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Indi Gregory è una bellissima bambina inglese di 8 mesi affetta da una grave malattia mitocondriale a cui si vuole negare il diritto alla vita, alla salute e ai trattamenti di cura e di riabilitazione.

Come per i casi di Charlie Gard e Alfie Evans, i medici e il sistema giudiziario britannico hanno deciso di togliere i supporti vitali a Indi, affermando che la sua morte rispetterebbe il suo “miglior interesse”, nonostante le proteste e gli sforzi legali della famiglia per mantenere le cure. Una follia!

L'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma si è offerto di accogliere Indi, e recentemente il Governo italiano le ha conferito la cittadinanza, aprendo la via per il suo trasferimento affinché la piccola possa continuare le cure necessarie: una possibilità da realizzare senza ulteriori ostacoli.

Ogni vita è preziosa, e la battaglia di Indi tocca il cuore di tutti noi. In queste ore drammatiche, abbiamo ricevuto il messaggio del papà di Indi rivolto a tutti noi:


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Noi rifugiati, l'incontro di Aprile in Sapienza

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Noi rifugiati - Hannah Arendt - copertina.

Nel mese di aprile, in occasione della riedizione del saggio di Hannah Arendt Noi rifugiati a cura dalla Prof.ssa Donatella Di Cesare, si è tenuto al Dipartimento di Filosofia di Villa Mirafiori un bell’incontro. Era stato organizzato dalla Prof.ssa Di Cesare con il contributo del Prof. Mariano Croce e della Prof.ssa Orietta Ombrosi.  L’aula non era particolarmente grande né gremita, ma l’argomento era importante: i rifugiati e la sensazione di mancanza di mondo, l’acosmia.

Ma chi sono i rifugiati? Che tipo di mancanza è quella riferita? Ci sono forse analogie con altri tipi di situazioni?

Hannah Arendt, una delle filosofe più rappresentative del XX secolo, parlava nel libro della sua esperienza; costretta a fuggire nel 1941 per salvarsi la vita dal nazismo, era migrata negli Stati Uniti. L’evento veniva quel giorno ricollegato ai Diritti umani - di cui la filosofa non aveva dato una definizione - e la Prof.ssa Di Cesare riteneva che i Diritti umani mancanti fossero qualcosa di innato, che s’inscriveva nella persona.


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