Il mese scorso ho visto il film a Latina, lo davano solo li.
A chi aveva già letto i suoi libri il film sarà apparso poco sorprendente e piuttosto familiare ma per gli altri - le nuove generazioni ad esempio - è un concentrato dei pensieri, delle esperienze di inviato all’estero e degli apprendimenti da lui realizzati anche grazie alla malattia nella quale incorre.
Poche persone possono vantare una vita di uguale intensità.
La sua testimonianza é in parte anche un’ammissione di colpa: una sorta di celata richiesta di indulgenza per essere stato “un padre che faceva ombra” come lui stesso si definisce.
La trama del film è semplice così come semplice é il linguaggio utilizzato, un dialogo tra padre e figlio che si svolge negli ambienti familiari: sotto la pergola del giardino di Orsigna, nella la piccola cucina - dove sua moglie Angela prepara spesso il tè per lui - nella sala da pranzo.
Il grande giornalista giunto alla fine dei suoi giorni desidera raccontare qualcosa in più di sé al figlio, resosi conto con dispiacere che lui stesso aveva saputo poco della vita di suo padre. Lo chiama, lo fa venire da New York, gli chiede di intervistarlo, di fargli delle domande alle quali risponderà; da queste conversazioni, dai valori riposti in quest'ultimo diario scritto a due mani, ultimo desiderio di immortalità, Folco ne trarrà in seguito un libro.