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di Valeria Ballarati

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TESI 2 Forme e metodi del colonialismo 2.1 Struttura del dominio

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Capitolo 2 - Forme e metodi del colonialismo

Mien, tien.

Ce chien est à moi, disaient ces pauvres enfants;

c’est là ma place au soleil.

Voilà le commencement et l’image

De l’usurpation de toute la terre.

Blaise Pascal, pensée 231


Day-o, day-o

Daylight come and me wan' go home

Work all night for a drink of rum

(Daylight come and me wan' go home)

Stack banana till de morning come

(Daylight come and me wan' go home)

Come, Mister tally man, tally me banana

(Daylight come and me wan' go home)

Day-o (Banana Boat Song)

Harry Belafonte, 1956[1]


[1] Harry Belafonte é stato un cantante e un attivista per i diritti civili. La sua famosa canzone Day.O (Banana Boat Song) é un canto popolare giamaicano che racconta le dure condizioni di lavoro coloniale dei caricatori delle navi bananiere: lavorando tutta la notte nel farsi giorno vogliono andare a casa, attendono solo che Mr tally man (il contabile) conti le casse caricate. Belafonte partecipò come speaker alla marcia su Washington del 1963 per il lavoro e la libertà, a sostegno dei diritti civili ed economici per gli afroamericani, sotto la presidenza di John Fitzgerald Kennedy. In quell'occasione, il leader afro-americano Martin Luther King Jr. pronunciò al Lincoln Memorial lo storico discorso I have a dream, invocando la fine del razzismo e la pace tra bianchi e neri. Nella stessa occasione Harry Belafonte dirà: “Crediamo che gli artisti abbiano una funzione di valore in ogni società, poiché sono gli artisti che rivelano la società a sé stessa”.

La traduzione è mia dal video sottostante (al min. 5’10). https://abcnews.go.com/US/video/archival-video-harry-belafonte-speaks-march-washington-1963-45832971.


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Tesi 1.3 La questione coloniale

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1.3 La questione coloniale

La questione coloniale era da sempre stata presente nel pensiero di Simone Weil, sin dalle prime esperienze di lavoro in fabbrica e sindacato, quando aveva provato di persona l’oppressione per la prima volta. Lei, che proveniva da una famiglia colta e agiata, per meglio capire le condizioni materiali del lavoro aveva voluto sperimentare direttamente il lavoro in fabbrica, per rendersi conto di cosa significasse lavorare alla catena di montaggio di una grande industria. Ma della questione coloniale parlò diffusamente solo nell’ultimo periodo della sua vita, una volta giunta a Londra per lavorare con France Libre, l’organizzazione politico-militare di resistenza anti-nazista creata dal Generale De Gaulle durante la seconda guerra mondiale, che attirava intellettuali francesi. L’anticolonialismo di Simone Weil nacque perciò molto presto, dalla consapevolezza che l’oppressione colpiva pesantemente gli abitanti delle molte colonie francesi.

La prima volta che si era sentita coinvolta in questa storia aveva solo ventuno anni e fu a causa della sanguinosa repressione attuata a Yen Bai in Indocina (Tonchino), nel 1930:[1] gli indigeni erano stati uccisi per la loro voglia di indipendenza. Lei lo aveva saputo dal quotidiano.

Come ogni mattina passava a ritirare le Petit Parisien, il giornale che leggeva a pranzo, dove il giornalista e scrittore Louis Roubaud[2] aveva scritto un’inchiesta coraggiosa e ben documentata. La tragedia indocinese scaturiva dalla rivalsa francese per l’uccisione di suoi ufficiali ad opera della guardia indocinese, e la risposta francese aveva fatto secondo alcune stime 10.000 vittime tra contadini e popolazione civile, una repressione enorme e spietata che tornerà nei suoi scritti costantemente. Nel leggere delle violenze e dell’uccisione degli operai ammanniti, impotenti di fronte a tanta forza bruta, lacrime di vergogna le avevano rigato il viso e racconta che l’anno successivo, il 1931 periodo dell’esposizione coloniale internazionale di Parigi,[3] percepiva palpabile la contraddizione esistente tra la tranquilla e incosciente folla parigina piena di ammirazione del Tempio di Angkor-vat, e la loro indifferenza rispetto alle sofferenze inflitte a quel popolo proprio dal colonialismo francese.

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Tesi 1.2 Parole vuote e omicide

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Capitolo 1 - Cause, radici e sviluppi dell'oppressione sociale.

1.2 Parole vuote e omicide

Nell’analizzare i grandi ideali per i quali si è portati all’uso della violenza e della forza, nel testo del 1937 Non ricominciamo la guerra di Troia[1], Weil scopre che quelli di fatto sono parole che coprono un vuoto effettivo, e che sono utilizzate prevalentemente in politica: nazione, sicurezza, proprietà, democrazia, ordine autorità. Le chiama “parole omicide” perché non indicano obiettivi da raggiungere e non hanno altro scopo che la morte. In presenza di un obiettivo concreto, attraverso una forma di dialogo e compromesso, l’obiettivo sarebbe alla portata dei rivali, ma come nella guerra di Troia non c’è e le parole hanno il ruolo di Elena, abbellite di maiuscole ma senza contenuto.

Weil vorrebbe smascherare l’ipocrisia, togliere la patina di inganno, quel vocabolario artificiale in uso alla politica che genera potere, violenza, e perciò uso della forza con il pretesto della sicurezza o del bene pubblico.

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Tesi 1 Cause, radici e sviluppi dell'oppressione sociale 1.1 l'oppressione sociale

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Capitolo 1

Cause, radici e sviluppi dell’oppressione sociale


“Non camminare davanti a me, potrei non seguirti;

non camminare dietro di me, potrei non sapere dove andare;

cammina a fianco a me e sii per me un amico!”

Albert Camus


“On les voit à peine, on les sent, plutôt qu’on ne les voit.

On à des peines infinies à les faire sentir à ceux qui ne les sentent pas d’eux-memes (…)”

Blaise Pascal, pensée 21 - Esprit de géometrie et ésprit de finesse


1.1 L’oppressione sociale

Era una Simone Weil giovanissima quella che a soli venticinque anni prendeva coscienza di snodi fondamentali, e scriveva riflessioni impattanti e significative essendo mossa da sete di giustizia e apertura verso l’altro suo simile. Pensava naturalmente ad alcune soluzioni pratiche, come era il suo modo di reagire alle situazioni nel tentativo di “riparare il mondo”, analizzando dapprima le cause e le forme in cui l’oppressione sociale si era storicamente data.

“Dal punto di vista morale l’oppressione è un insulto alla dignità della natura umana”[1] scriveva nella lezione di filosofia sull’oppressione sociale per le sue allieve al liceo femminile di Roanne, nel 1933-34, appena dopo il primo periodo di insegnamento a le Puy, dove la militanza nel sindacato rivoluzionario e le umane frequentazioni con gli operai avevano generato uno scandalo,[2] e persino interventi delle autorità scolastiche a verifica dei suoi metodi di insegnamento, risultati ineccepibili.

E’ l’anno in cui scrive l’articolo Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale a cui teneva molto, una sorta di “testamento” prima dell’ingresso in fabbrica, testo che le prenderà molte energie[3] a partire dalla primavera e per buona parte dell’estate assumendo infine le dimensioni di un piccolo libro.[4] Datata 20 giugno 1934 è anche la domanda di aspettativa per “studi personali” dove non parla naturalmente del suo voler lavorare in fabbrica ma descrive il progetto in questi termini:

“Desidererei preparare una tesi di filosofia concernente il rapporto della tecnica moderna, base della grande industria, con gli aspetti essenziali della nostra civiltà, cioè da un lato la nostra organizzazione sociale e dall’altro la nostra cultura.”[5]


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Tesi, Introduzione: alle radici greche del culto della forza

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Pubblico la prima parte della mia tesi, come anticipato.

Buona lettura!


Fedeli a se stessi:

il rapporto oppresso-oppressore nelle riflessioni in Simone Weil.



Introduzione

Alle radici (greche) del culto della forza

Il rapporto oppresso-oppressore è un tema che attraversa ogni epoca.

Simone Weil, filosofa e scrittrice francese vissuta agli inizi del Novecento, ne aveva un’idea precisa. Nel 1933-1934 quando insegnava filosofia presso il liceo femminile di Roanne, e mentre si intravedeva già in questi anni la sua voglia di uscire dalle “retrovie”, dato che rimanere fedele a se stessa era uno dei suoi tratti caratteriali, esplicitava già questo tema nel testo Réflexions sur les causes de la liberté et de l’oppression sociale[1] dove, fin dalle prime righe, dominava l’argomentare sull'oppressione sociale.

“Se comprendessimo le cause dell’oppressione, non ci troveremmo più in questo stato insopportabile che consiste nel subirla, immersi nello smarrimento.”[2]

Occorreva dunque andare alla ricerca delle cause dell’oppressione nella società, cause che Simone Weil individuava in prima battuta nell’ambiente di lavoro, ma che approfondirà successivamente a partire dall’analisi delle forme in cui l’oppressione si era storicamente data, ovvero ricollegandole a un culto della forza con radici antichissime, che risalivano alla Grecia e proseguivano nell’Impero Romano e anche nella Francia del Cardinale Richelieu.


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Mi sono laureata

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Quanto tempo è passato dall’ultima volta in cui ho scritto. In effetti ho avuto un po’ da fare: il 19 marzo scorso mi sono laureata!

Quando la segreteria didattica comunicò la data d’inizio della sessione di laurea primaverile ho pensato fosse una specie di segno: il 19 marzo è la festa del papà e avendo perso mio padre in giovane età ho pensato, ovunque egli fosse, a quanto potesse esser felice e orgoglioso d’avere uno dei suoi figli laureato in Filosofia.

Sono stati tre anni bellissimi. La Filosofia è calmante oltre che tremendamente interessante. E’ come se qualcuno mi avesse offerto una sedia dicendomi: “vieni, siediti qui, vedrai che starai bene”. Credo proprio si tratti della famosa temperanza esposta nel dialogo giovanile Carmide di Platone. E io mi sono seduta sulla sedia filosofica e ho ascoltato, tanto; e studiato tanto; ma l’impegno e i grandi sforzi di attenzione indirizzati alla comprensione sono stati ampiamente ripagati dalla costante sensazione di meraviglia negli occhi, nelle orecchie, nel cuore.

E’ chiaro che la filosofia e i filosofi del passato sono patrimonio del mondo.

Di recente viene riscoperta anche la professione del Filosofo: avete sentito parlare di Consulenza Filosofica? C’è tutto un mondo di speranza ancora da sondare mediante le competenze dei filosofi, sempreché una guerra mondiale (che i popoli non vogliono, sono i potenti a volerla, naturalmente) non intervenga a fermare le vite di tutti noi. Anzi, forse è proprio questo il momento in cui la filosofia può mettere le sue competenze a disposizione di uomini e situazioni; potrebbe andare in aiuto agli attuali difficili dialoghi tra Nazioni, portare un contributo alla mediazione evidenziando le necessità di ascolto di tutte le parti in gioco, percorrendo una via che non sia di solo conflitto.

La Filosofia è in grado! A volte è solo questione di ascolto dei punto di vista.


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La favola di Igino

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La favola di Igino 

Favola 220 attribuita all’astronomo Hyginus, I secolo

La «Cura», mentre stava attraversando un fiume, vede del fango cretoso; pensierosa, ne raccoglie un po’ e incomincia a dargli forma. Mentre è intenta a stabilire che cosa avesse fatto, interviene Giove. La «Cura» lo prega di infondere lo spirito a quello che aveva appena formato. Giove acconsente volentieri. Ma quando «Cura» pretende di imporre il suo nome a ciò che ave- va formato, Giove glielo proibisce e pretende che fosse imposto il proprio nome. Mentre la «Cura» e Giove disputavano sul nome da dare, interviene anche la Terra, reclamando che a ciò che era stato formato fosse imposto il proprio nome, perché gli aveva dato una parte del proprio corpo. I disputanti elessero cosi' Saturno a giudice, ed egli comunicò la seguente equa decisione: «Tu, Giove, poiché hai dato lo spirito, alla morte riceverai lo spirito; tu, Terra, poiché hai dato il corpo, riceverai il corpo. Ma poiché fu la Cura che per prima diede forma a questo essere, fintanto che esso vivrà lo possiederà la Cura. Poiché però la controversia riguarda il suo nome, si chiami homo poiché è fatto di humus (suolo da cui proviene, e cioè un composto).


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Geometria e finezza

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Buon Santo Stefano a tutti.


"La vraie éloquence se moque de l’éloquence. La vraie morale se moque de la morale, c’està‑dire que la morale du jugement se moque de la morale de l’esprit qui est sans règles.

Car le jugement est celui à qui appartient le sentiment, comme les sciences appartiennent à l’esprit. La finesse est la part du jugement, la géométrie est celle de l’esprit."


"La vera eloquenza si infischia dell'eloquenza, la vera morale si infischia della morale; la morale del giudizio, cioè si infischia della morale dell'intelletto, che é senza regole.

Il sentimento infatti appartiene al giudizio, come le scienze appartengono all'intelletto. La finezza é propria del giudizio, la geometria dello spirito. Infischiarsi della filosofia è fare veramente filosofia."

Pensiero 24, edizione Chevalier - Blaise Pascal

 

La lettera del giudice inglese al Console italiano

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Il giudice inglese Robert Peel, l’uomo che ha negato ai genitori di #IndiGregory il diritto di trasferire la figlia in Italia per essere curata dall’Ospedale Bambino Gesù di Roma, ha inviato questa ignobile lettera al Console italiano a Manchester, che aveva scritto a lui di attivare la nostra giurisdizione sul caso della piccola vittima dopo la concessione della cittadinanza italiana.

“Potresti aver sentito che con grande tristezza Indi Gregory è morta… La sua famiglia è nei miei pensieri… presumo che tu non voglia procedere con la richiesta…”.

Non solo quest’uomo ha rivendicato il diritto di decidere che la vita di un essere umano indifeso e innocente dovesse indiscutibilmente finire – “nel suo migliore interesse” – nonostante pareri medici contrastanti, ma ora si permette anche il lusso di un’ipocrita tristezza intrisa di ironia cinica.

Non c’è nulla che metta in pericolo i diritti umani fondamentali più di un giudice che crede di essere Dio onnipotente.

Fonte

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Indi é morta

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#IndiGregory è volata in cielo stanotte alle ore 1.45. Le parole del papà:

I might be asleep in the morning....  but indi life ended at 01.45am

me and claire are angry heartbroken and ashamned .  the nhs and the courts not only took away her chance to live,  they took away indi dignity to pass away in the family home where she belonged . They did succeed in taking indi's body and dignity, but they can never take her soul. They tried to get rid of indi without anybody knowing, but we made sure she would be remembered forever. i knew she was special from the day she was born.

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Romanzo

La storia dell'uomo e
della scoperta
dei Fiori di Bach.

Booktrailer

Il Romanzo è alla 3° edizione. 


Parole per pensare

“L'attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono."

Simone Weil, Corrispondenza, pag. 13

«Quanto siamo stanche io e te. Dovremmo riposarci un po’» dice Donatella a Beatrice mentre il Valium fa effetto sul lungomare di Viareggio all’imbrunire, è un dialogo che ti rimane dentro, come tutta La pazza gioia.

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«Quanto siamo stanche io e te. Dovremmo riposarci un po’» dice Donatella a Beatrice mentre il Valium fa effetto sul lungomare di Viareggio all’imbrunire, è un dialogo che ti rimane dentro, come tutta La pazza gioia.

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Fiori di Bach e Cartoons 15 Pimpi


 ASPEN

Se hai paura,

ma non sai bene di cosa